«Per un paese la Costituzione è il riferimento comune, una carta di identità di principi e valori in cui tutti si riconoscono. È il terreno comune su cui si può e si deve svolgere il dialogo. Una cosa è la discussione sulle leggi ordinarie, un’altra, tutt’altra, è la discussione sulle leggi costituzionali. Ma Renzi non tiene in conto questa fondamentale differenza». È una forte preoccupazione quella che esprime il giurista Stefano Rodotà – già parlamentare, accademico, garante della privacy, teorico dei beni comuni, candidato alla presidenza della Repubblica, insomma ottant’anni intensi di passione politica a sinistra. In omaggio alla sensibilità del tema di cui ragiona, «il paese che rischia di essere lacerato da un governo divisivo», misura le parole con attenzione. Stava dicendo della Costituzione come terreno comune. «Ecco, invece oggi la Carta non è più guardata come tale. È come se oggi, nel pieno conflitto sulla modifica Renzi-Boschi, ciascuna delle parti finisca per identificarsi con una sua propria Costituzione». Una modalità di conflitto, quello di questi mesi, che sembra l’esatto contrario di ciò che viene comunemente definito ’spirito costituente’? La grande preoccupazione dei costituenti, anche negli anni successivi al 1948, è stata quella di non far diventare la Carta un tema di divisione. Tant’è che quando durante i lavori dell’Assemblea ci fu l’espulsione dal governo dei comunisti e dei socialisti, il lavoro comune sulla Carta non si interruppe. Ma a dicembre ci sarà un referendum per approvare o bocciare la riforma. I conflitti di questi mesi non sono fisiologici di una logica binaria, giocata fra sì e no? Solo in parte. A differenza di tutta la nostra storia precedente, oggi succede che il presidente del consiglio tende fortemente a identificarsi con la ’sua’ riforma e a sovrapporre le scelte che riguardano la stretta attività di governo con la […]