L’Italia possiede un bene ineguagliabile che è rappresentato dall’enorme Patrimonio culturale stratificatosi per più di trenta secoli e in maniera capillare nell’ordito armonico delle nostre antiche città, dei nostri musei, delle chiese, dei siti archeologici, dei palazzi dei nostri centri storici immersi nel paesaggio. Il paesaggio è l’immagine, lo specchio della ragione e come tale presuppone – in coloro che vi lavorano, erigono palazzi, costruiscono piazze, strade e scuole modificandone il volto – un’intima partecipazione al diritto di goderne, di gioirne e di apprezzarne la bellezza. La devastazione della gran parte del paesaggio e delle città soprattutto del Mezzogiorno è, purtroppo, la dimostrazione che il riconoscimento e la produzione della bellezza sono attività che i cittadini, soprattutto quelli meridionali, non hanno esercitato, compreso ed interiorizzato da troppo tempo. I cittadini e la classe dirigente del Mezzogiorno non hanno ancora compreso, non hanno voluto comprendere, che con la scomparsa del paesaggio e delle antiche città si scardinava un fondamentale nesso psicologico di formazione identitaria perché la stabilità dei luoghi garantisce alle società un senso di perpetuità, in grado di conservare l’identità individuale e collettiva. In una temperie culturale nella quale i valori estetici tendono a essere antifunzionali e antieconomici perché di ostacolo all’efficienza e alla misurabilità economica, la consapevolezza che una città del Mezzogiorno, Matera, sia stata scelta come capitale europea della cultura infonde, a noi meridionali, una speranza. Il paesaggio agrario del Mezzogiorno che sembrava, alla fine della seconda guerra mondiale, ancora immoto agli occhi di Silone e persino di Pasolini, a partire dagli anni ‘50 viene, invece, devastato e consumato in maniera sempre più impetuosa. Dagli anni ’80 del secolo scorso il processo di riduzione a merce del suolo e del paesaggio agrario subisce un’ulteriore e violentissima accelerazione. In Italia, fra il 1990 e il 2005, ben il […]