Secondo quanto riporta l’Iran Daily, il direttore dell’agenzia nucleare iraniana ha annunciato che, se gli Stati Uniti non onoreranno gli impegni presi con l’accordo sul nucleare del 2015, «l’Iran potrebbe riconsiderare la sua cooperazione con l’International atomic Energy agency (Iaea)», l’agenzia Onu che sorveglia l’attuazione dell’intesa firmato da Iran e G 5+1 (Cina, Francia, Gran Bretagna, Russia, Usa e Germania) e dall’Unione europea. Ieri sera il viceministro degli esteri iraniano, Abbas Araqchi, ha sottolineato che «Washington aveva già tentato di distruggere l’accordo sul nucleare l’anno scorso e potrebbe riuscirci davvero nei prossimi giorni. Se il governo americano decide di ritirarsi dall’accordo sul nucleare, la comunità internazionale e la nostra regione saranno le grandi perdenti, perché finirà un’esperienza internazionale di successo». Il 13 ottobre 2017 il presidente Usa Donald Trump – spalleggiato dal governo israeliano e dalla monarchia assoluta saudita e sostenuto dal Partito Repubblicano – aveva annunciato la decisione di non voler rinnovare la certificazione accordata all’Iran di rispettare i termini dell’accordo nucleare con il G5+1. Una decisione che non ha comportato l’uscita formale degli Usa da quell’accordo ma che ha aperto un periodo di esame di 60 giorni durante il quale il Congresso Usa dovrà decidere se vuole o no imporre ulteriori sanzioni alla Repubblica Islamica dell’Iran, il che porterebbe a violare gli impegni presi dagli Stati Uniti al tempo di Barack Obama nel quadro dell’accordo nucleare con l’Iran. Però, negli ultimi due mesi il Congresso Usa non ha presentato nessuna risoluzione per imporre nuovamente le sanzioni all’Iran e con le ultime elezioni la maggioranza repubblicana al Senato si è ulteriormente ridotta. In assenza di decisioni da parte del congresso, la palla passa a Trump, sempre più in difficoltà sul fronte interno, che a metà gennaio dovrebbe decidere se imporre le sanzioni all’Iran e che il governo iraniano […]
Archivi Giornalieri: 10 Gennaio 2018
A volte la protezione dei monumenti ha a che fare con la protezione del clima. Lo hanno dimostrato ieri 40 attivisti di Greenpeace Deutschland che hanno protestato a Immerath, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, contro la demolizione della Chiesa cattolica di San Lamberto, dispiegando uno striscione sul quale era scritto: “Wer Kultur zerstört, zerstört auch Menschen” (Distruggere la cultura distrugge anche le persone). La chiesa di “Dom Immerather” è stata costruita nel XIX secolo e sarebbe un edificio protetto che invece verrà raso al suolo insieme all’area dove sorge per far posto all’enorme miniera di lignite all’aperto di Garzweiler II di proprietà del colosso energetico tedesco RWE. A Greenpeace Deutschland dicono che «il fatto che il carbone di Garzweiler sia necessario è una domanda che RWE non si pone. La risposta è ovvia: il carbone non è necessario per l’approvvigionamento energetico tedesco. Una breve analisi commissionata da Greenpeace lo scorso anno dimostra che un terzo delle centrali a carbone in Germania potrebbe essere messa offline nei prossimi tre anni, senza conseguenze per la sicurezza dell’approvvigionamento». Gli ambientalisti denunciano che in realtà il carbone non serve in Germania ma per rimpinguare le esportazioni in altri Paesi che durano da anni. Infatti RWE, tramite le sue società controllate distribuisce elettricità a oltre 120 milioni di clienti, in Europa e Nord America. Gli attivisti di Greenpeace hanno aperto striscioni vicino agli escavatori e anche una scritta “Stop Carbone” da cui esce del fuoco. Sono riusciti a fermare i lavori per alcune ore, ma alla fine sono stati sgombrati dalle Forze dell’Ordine ed è iniziato l’abbattimento della chiesa. Secondo Greenpeace, la demolizione della chiesa di Immerath è il simbolo di una politica energetica obsoleta e, mentre l’uscita dsal carbone è uno degli elementi del negoziato per costituire nuovamente la Grosse Koalition tra i socialdemocratici della Spd e […]
L’albero di Natale di Piazza Duomo a Milano avrà una seconda vita all’insegna del riutilizzo, della sostenibilità ambientale e della gestione circolare delle risorse, arrivando infine a diventare il materiale con cui verranno realizzati elementi di arredo urbano. Già a partire dal prossimo 8 gennaio, infatti, inizieranno le operazioni per smontare l’albero togliendo prima le sfere e le stringhe a LED (che saranno riconsegnate ai fornitori) e successivamente anche la base con i Ledwall con i messaggi di auguri dei milanesi e dei turisti che hanno visitato il capoluogo lombardo. Ultimata questa fase l’albero, come si legge in una nota del Comune di Milano, “sarà spogliato dei rami e tagliato in loco in piccoli tronchi di lunghezza massima di 6 metri. Subito dopo, il legno verrà messo in sicurezza per il trasporto in un centro di riutilizzo del legno, dove verrà stoccato e preparato per gli step successivi necessari per gli sviluppi futuri”. Tutte le fasi relative alla realizzazione dell’Albero di Natale – dalla partecipazione al bando del Comune alla cerimonia di accensione – sono state curate da IGPDecaux che completa il suo ruolo di affiancamento a Sky Italia nella gestione delle operazioni di disallestimento e di preparazione del legno per il suo riutilizzo. Arredi urbani di pubblica utilità Nello specifico quali saranno i progetti di riutilizzo dell’albero? Grazie alla collaborazione tra Sky Academy e il Politecnico di Milano-Scuola e Dipartimento di Design partirà un’iniziativa volta alla realizzazione di arredi urbani di pubblica utilità, “attività fortemente voluta da Sky”. L’obiettivo è quello di “sviluppare la cultura dell’innovazione e della sostenibilità”. Il progetto partirà la prossima settimana quando il Politecnico di Milano inviterà gli studenti della Scuola di Design a partecipare all’iniziativa. I progetti presentati dai ragazzi saranno successivamente valutati da una giuria di esperti. La giuria Ad esaminare le […]
La foresta di Sherwood, casa del leggendario Robin Hood, è a rischio a causa del fracking, cioè la fratturazione idraulica della terra per estrarre il gas di scisto. A lanciare l’allarme sono gli ambientalisti, che accusano l’azienda petrolchimica Ineos di aver mentito: “Aveva detto che non avrebbe toccato le aree protette della foresta, ma ha chiesto e ottenuto autorizzazioni per agire anche in quelle zone“. Gli attivisti di Friends of the Earth, riporta il quotidiano britannico Guardian, hanno ottenuto i documenti che autorizzano l’azienda a condurre anche nelle aree sensibili le esplorazioni, fatte piazzando piccole cariche esplosive sottoterra. Nei documenti inviati nel maggio scorso alla contea di Nottinghamshire, e disponibili online, l’azienda aveva invece escluso una serie di zone protette dalle esplorazioni sismiche. “È chiaro che Ineos non si fermerà davanti a niente nella ricerca del gas di scisto, neanche alla foresta di Sherwood, casa di Robin Hood e uno dei nostri boschi più amati“, ha detto Guy Shrubsole dell’associazione ambientalista. “Hanno ingannato tutti, promettendo pubblicamente di risparmiare le parti più ecologicamente sensibili della foresta di Sherwood dalle loro indagini sismiche invasive, mentre negoziavano a porte chiuse per portarle avanti“. (ANSA dell’8 gennaio 2018, ore 19:49)