Il pianeta ha già superato il giro di boa dei cambiamenti climatici

 

L’ultimo bollettino sui cambiamenti climatici diffuso da Copernicus, il programma europeo di osservazione della Terra, offre il primo quadro completo e globale delle temperature 2018 e dei livelli di CO2: dopo aver elaborato e messo a sistema milioni di osservazioni terrestri, marine, aeree e satellitari raccolte quotidianamente il risultato è inequivocabile.

Nel 2018 la temperatura media globale dell’aria superficiale «è stata di 14,8°C, 0,2°C inferiore a quella del 2016, l’anno più caldo mai registrato», ma non si tratta di una buona notizia: «La temperatura media degli ultimi 5 anni è stata di 1,1°C superiore alla media preindustriale (secondo la definizione dell’Ipcc)».

Questo significa che il pianeta ha già superato il giro di boa, andando oltre la metà dell’incremento massimo di temperatura sopportabile prima che i cambiamenti climatici portino a conseguenze inarrestabili e irreversibili.

Come ha infatti ricordato il capo della delegazione Wwf all’Ipcc – Stephen Cornelius – durante la pubblicazione dell’ultimo rapporto Onu «superando i 2 gradi centigradi di riscaldamento globale rispetto all’età preindustriale, potremmo vedere un cambiamento climatico inarrestabile».

Le indicazioni emerse dall’ultimo report Ipcc rafforzano questo messaggio, sottolineando anzi che fermarsi a +1,5°C comporterebbe molti meno rischi.

Il problema è che ormai siamo già a quota +1,1°C.

La posta in gioco è altissima: il rapporto Ipcc mostra che l’aumento della temperatura globale a 2°C al di sopra dei livelli preindustriali porterebbe a conseguenze devastanti, fra cui l’innalzamento del livello del mare, la desertificazione di molti territori, la perdita di habitat e specie naturali e la diminuzione delle calotte glaciali, che avrebbero ripercussioni gravissime sulla nostra salute, sui mezzi di sussistenza, sulla sicurezza umana e sulla crescita economica.

Fenomeni di cui già oggi abbiamo sempre più amari assaggi.

«Anche il 2018 è stato un anno molto caldo, il quarto più caldo mai registrato – argomenta Jean-Noël Thépaut, a capo del Copernicus climate change service – Eventi climatici importanti come l’estate calda e secca in gran parte dell’Europa o l’aumento della temperatura nelle regioni artiche sono segnali allarmanti per tutti noi.

Solo unendo i nostri sforzi possiamo fare la differenza e preservare il nostro pianeta per le generazioni future».

Guardando in particolare all’anno appena concluso i dati di Copernicus mostrano che nel 2018 le temperature superficiali sono state superiori di oltre 0,4°C rispetto alla media a lungo termine registrata nel periodo 1981-2010; a parte i mesi di febbraio e marzo che sono stati relativamente freddi, anche l’Europa ha registrato temperature superiori alla media in tutti i mesi dell’anno.

Per l’Italia, che sta subendo le conseguenze dei cambiamenti climatici in modo più intenso della media globale, lo stato dell’arte è ancora più critico.

I dati forniti dal Cnr sull’andamento delle temperature nell’ultimo anno mostrano che per il nostro Paese il 2018 è stato in assoluto l’anno più caldo da oltre due secoli, con +1.58°C sopra la media del periodo di riferimento (1971-2000).

Del resto l’analisi dei dati satellitari indica che le concentrazioni di anidride carbonica sono aumentate negli ultimi anni, 2018 incluso: i dati Copernicus confermano che in tutto il mondo CO2 ha continuato a crescere nel 2018, ed è aumentata di 2,5 +/- 0,8 ppm/anno.

Secondo il già citato report Ipcc è ancora possibile limitare il riscaldamento a +1,5°C, ma ciò richiederebbe una riduzione immediata e progressiva delle emissioni per raggiungere emissioni zero nette di CO2 a livello globale intorno alla metà del secolo: per tagliare questo traguardo occorre però da subito una decisa inversione di rotta, in quanto gli impegni finora assunti dai governi – compreso il nostro – non sono sufficienti a limitare il riscaldamento a  +2 °C, ancor meno a +1,5 °C.

 

(Articolo di Luca Aterini, pubblicato con questo titolo il 10 gennaio 2019 sul sito online “greenreport.it”)

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