Accordo di Parigi, forse Putin non farà come Trump

 

I Paesi firmatari dell’Accordo di Parigi del 2015 sono 197, gli Usa hanno annunciato il loro ritiro e altri 13 Stati – Angola, Eritrea, Iran, Iraq, Kirghizistan, Libano, Libia, Oman, Federazione Russa, Sud Sudan, Suriname, Turchia, Yemen – quasi tutti Paesi petroliferi e/o in guerra, non lo hanno ancora ratificato.

Insieme, questi 13 Paesi nel 2014 rappresentavano da ratificare, inclusi alcuni emissari importanti.

Secondo i dati di Climate Watch, insieme questi 13 Paesi nel 2014 rappresentavano circa l’8% delle emissioni globali di gas serra.

Gli accordi internazionali possono essere firmati, ma diventano vincolanti solo con la loro ratifica che può avvenire con  un atto di parlamento o con qualche altro tipo di accettazione formale, dipende dai diversi paesi.

Una volta ratificato, l’accordo impegna i governi a presentare i loro piani per ridurre le emissioni che, messi insieme, dovrebbero riuscire a mantenere l’aumento delle temperature globali al di sotto dei 2° C, preferibilmente entro gli 1,5° C.

Tra i Paesi che non hanno ancora ratificato l’accordo di Parigi spiccano una potenza globale come la Russia e due potenze regionali come la Turchia e l’Iran (tutte impegnate nell’eterna e sanguinosa guerra siriana).

Pur aderendo dal 1992 all’United Nations framework convention on climate change (Unfccc), la Turchia  ha continuato a far affidamento sui combustibili fossili, in particolare sul carbone, per soddisfare l’aumento dei consumi interni di energia.

Tra il 1990 e il 2016 le emissioni di gas serra della Turchia sono aumentate di ben il 135%.

Nonostante questo, per questioni di prestigio nazionale,  il presidente turco nazional-islamista Recep Tayyip Erdoğan  ha preteso che il suo Paese aderisse all’Unfccc come Paese sviluppato.

Poi se ne è pentito e ha cominciato a sostenere che in realtà (ed è vero) la Turchia è un  Paese in via di sviluppo, status che e stato accordato e che permette alla Turchia deroghe per non sborsare gli ingenti finanziamenti climatici de devono (o meglio dovrebbero) sborsare i Paesi sviluppati.

Ma Erdogan ha alzato ancora la posta e ora, dissanguato dalla guerra contro i kurdi in Siria, dice che non può ancora accedere ai finanziamenti climatici e che, se si vuole che la Turchia lo ratifichi, l’Accordo di Parigi va cambiato.

L’Iran, importante produttore di petrolio ed esportatore di gas naturale – che ieri si è ufficialmente lamentato perché Italia e Grecia abbiano smesso di comprare il suo greggio nonostante una deroga temporanea concessaci sul boicottaggio dichiarato da Donald Trump – non ha ancora ratificato l’Accordo di Parigi perché il settore energetico rappresenta il 77% delle sue emissioni totali. 

Teheran, considerata una delle capitali più inquinate del mondo, sta però anche sviluppando una sua industria delle fonti rinnovabili e continua a puntare sul nucleare, pomo della discordia con gli Usa, Israele e Monarchie sunnite del Golfo.

Ma L’Iran è un Paese “marginale” rispetto all’Accordo di Parigi: ha promesso che ridurrà le sue emissioni di solo il 4% nel 2030 rispetto a uno scenario business as usual.

La riluttanza della Repubblica islamica dell’Iran a ratificare l’Accordo di Parigi deriva sia da difficoltà ad uscire da un’economia basata sulle fonti fossili che da una sorta di rappresaglia per le nuove sanzioni economiche che la comunità internazionale ha accettato che venissero imposte a un Paese che ha rispettato e continua a rispettare l’accordo sul nucleare stipulato con il G5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania) e l’Unione europea.

Ma è la Russia il più grande inquinatore a non aver ancora ratificato l’Accordo di Parigi: nel 2015 la Federazione della Russia rappresentava circa il 5% delle emissioni globali e si era impegnata a ridurre, entro il 2030, le emissioni di gas serra dal 25 al 30% rispetto ai livelli del 1990, quando esistevano ancora l’Unione Sovietica e la sua industria pesante e inquinante.

Ma il governo russo dominato da Vladimir Putin è incestuosamente legato alle grandi compagnie di combustibili fossili di proprietà statale, che forniscono energia al Paese e hanno un enorme potere politico. 

La lobby pro-Accordo di Parigi si limita ad alcuni politici più “indipendenti” e ai gruppi ambientalisti, come il partenariato russo per la protezione del clima.

Anche se ufficialmente la Russia sostiene l’Accordo di Parigi e il Cremlino lo ha sostenuto anche dopo l’annuncio di Trump che gli Usa lo abbandoneranno, la Russia finora non ha ratificato l’Accordo climatico globale.

Ma, su Climate News Home, Natalie Sauer dice che le cose potrebbero cambiare dopo che, alla fine del 2018, Ruslan Edelgeriev, il principale consigliere climatico russo, ha annunciato che il governo stava preparando un rapporto sui pro e contro alla ratifica dell’Accordo di Parigi.

A gennaio, il quotidiano economico russo Kommersant  ha rivelato che Edelgeriev aveva chiesto a un gruppo di lavoro di esperti governativi di preparare il rapporto entro la fine di febbraio, con l’obiettivo di portare il documento sulla scrivania di Vladimir Putin entro marzo.

Poi il governo dovrebbe presentare un atto di ratifica alla Duma e al Consiglio della Federazione.

La decisione ha probabilmente a che fare con la richiesta di un potente gruppo di imprese che la Russia procedesse con molta cautela alla ratifica dell’accordo.

Il 17 gennaio, Alexander Shokhin, capo dell’Unione russa degli industriali e degli imprenditori (Rspp) ha inviato una lettera al ministero dell’ambiente nella quale afferma che «i produttori russi sono interessati alla ratifica» perché «l’assenza di obblighi nazionali e di una regolamentazione statale delle attività per combattere il cambiamento climatico può servire come pretesto per imporre restrizioni economiche alle compagnie russe».

Shokhin si è anche detto preoccupato per una perdita di competitività e di costi inutili che potrebbero trovarsi ad affrontare le imprese russe.

Molto probabilmente questo ripensamento climatico è dovuto al fatto che nel 2018 la Commissione europea ha detto che avrebbe dato priorità nei negoziati commerciali ai Paesi che sostengono l’Accordo di Parigi. 

E’ per questo che nel recente accordo di libero scambio Ue-Giappone c’è un passaggio che fa esplicito riferimento alla ratifica e all’attuazione dell’accordo di Parigi.

Alexey Kokorin, responsabile cambiamenti climatici del Wwf Russia è convinto che la mossa di Edelgeriev potrebbe sbloccare la ratifica dell’Accordo di Parigi da parte della Russia: «La cosa nuova e fortemente positiva è che Edelgeriev sostiene completamente la ratifica. 

Se fosse per lui, vorrebbe la ratifica, vorrebbe far sì che fosse qualcosa di significativo».

Ma lo stesso Kokorin avverte che la ratifica dovrà superare un fuoco di fila in Parlamento: «I deputati resisteranno il più possibile, utilizzandolo  per dimostrare che sono patrioti russi. Per provarlo, i populisti della Russia Unita (il partito di Putin, ndr) ritarderanno certamente il processo».

Anche all’interno del governo Russo le resistenze non mancherebbero: Kommersant  ha rivelato un rappresentante del ministero della scienza è stato finora l’unico ad opporsi  alla ratifica nel gruppo di lavoro, accampando una mancanza di prove per il cambiamento climatico causato dall’uomo, posizione minoritaria ma presente in Russia.

Inoltre, e ancor più preoccupante, la Russia ha fatto parte del piccolo gruppo di Stati petroliferi guidato dall’Arabia Saudita che hanno impedito che la recente Conferenza delle Parti Unfccc in Polonia adottasse il rapporto speciale sugli 1,5° C dell’Ipcc che evidenziava gli impatti devastanti di un riscaldamento globale di 2° C rispetto alle temperature preindustriali.

Forse Putin non farà come Trump ma, mentre l’Artico si sta sciogliendo, tentenna, rinvia e fa i suoi conti, che non coincidono con le necessità climatiche della comunità globale.

 

(Articolo pubblicato con questo titolo l’8 febbraio 2019 sul sito online “greenreport.it”)

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