Impianti produttivi di emissioni elettromagnetiche e limiti di distanza da siti sensibili

 

Rilevante pronuncia del T.A.R. Lazio in merito alle distanze da siti sensibili per l’ubicazione degli impianti produttivi di emissioni elettromagnetiche, in particolare quelli per la telefonìa mobile.

La sentenza T.A.R. Lazio, Sez. II Quater, 4 febbraio 2019, n. 1373 ha riconosciuto legittima l’imposizione di un limite di distanza ragionevole (150 metri) dai siti sensibili (“specifici edifici adibiti a ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido, anche le aree destinate a verde pubblico, i parchi gioco, i parchi pubblici, le aree soggette a tutela integrale dal Piano di Gestione della riserva naturale statale del litorale romano”), per l’ubicazione di impianti produttivi di emissioni elettromagnetiche, specificamente ripetitori per telefonìa mobile.

Com’è noto, l’art. 8, comma 6°, della legge n. 36/2001 e s.m.i. (“Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”) consente ai Comuni di “adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici

Il Consiglio di Stato, con la sentenza Sez. III, 12 novembre 2014, n. 5582, aveva già ricordato che il piano comunale ex art. 8, comma 6°, della legge n. 36/2001 e s.m.i. deve rispondere al contemperamento degli interessi collettivi (tutela dell’ambiente, sanità pubblica, decoro urbanistico, ecc.) con le esigenze dei soggetti gestori delle reti di telefonìa mobile“in altri termini, il Piano è il contenitore in cui in modo collaborativo tra tutti i soggetti coinvolti sono ordinate le iniziative manifestate nei programmi che i gestori propongono ai fini della localizzazione e della potenza trasmissiva dei loro impianti”.  

Tale contemperamento deve avvenire secondo criteri di razionalità da parte della pubblica amministrazione.

Fra le tante pronunce del Giudice amministrativo di ogni grado, appare di particolare interesse e complementare la sentenza T.A.R. Lombardia, BS, sez. II, 24 agosto 2012, n. 1461 con la quale sono stati autorevolmente definiti gli ambiti – a legislazione vigente – della potestà pianificatoria dei Comuni: essa deve rimanere entro gli aspetti di ordine urbanistico e non deve configgere con gli interessi nazionali riguardanti le reti di telecomunicazione“di conseguenza non possono considerarsi legittime previsioni generiche o eccessivamente discrezionali (v. C.Cost. 7 ottobre 2003 n. 307 punti 7 e 21; C.Cost. 7 novembre 2003 n. 331 punto 6; C.Cost. 27 luglio 2005 n. 336 punto 9.1; C.Cost. 28 marzo 2006 n. 129 punto 7.3)”, mentre possono essere previste ragionevoli localizzazioni degli impianti che assicurino l’efficienza delle reti e la tutela della salute pubblica.

Nonostante l’evidente interesse delle collettività locali a un consono inserimento urbanistico delle reti di telefonìa mobile nei centri urbani e l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, tuttavia sono ancora poco numerosi i piani comunali che disciplinano la corretta ubicazione degli impianti produttivi di emissioni elettromagnetiche.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

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dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 13 febbraio 2019

TAR Lazio Sez. II-Quater, n. 1373 del 4 febbraio 2019

Elettrosmog. Impianti di telefonia mobile e legittimità limite distanziale di 150 metri da siti sensibili.
L’imposizione di un limite cd. distanziale ragionevole (nel caso 150 metri) rientra nel potere regolamentare previsto dall’articolo 8, comma 6, della legge n. 36/2001 per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.

Le finalità previste dalla norma comportano che il potere regolamentare del Comune vada considerato espressione dell’autonoma e fondamentale competenza che detto ente ha nella disciplina dell’uso del territorio.

Esso può tradursi nell’introduzione sia di regole poste a tutela di zone e beni di particolare pregio paesaggistico, o ambientale, o storico artistico, sia nell’individuazione di siti che, per destinazione d’uso e qualità degli utenti, possano essere considerati sensibili alle immissioni radioelettriche, e quindi inidonei alle installazioni degli impianti per la minimizzazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.

 

01373/2019 REG.PROV.COLL.

07305/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7305 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da 
Soc Wind Telecomunicazioni S.p.A, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Sartorio, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via della Consulta, 50;

Wind Tre S.p.A., Wind Tre S.p.A non costituiti in giudizio; 

contro

Comune di Fiumicino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gianluigi Pellegrino, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso Rinascimento, 11; 

per l’annullamento

– del regolamento per l’installazione e l’esercizio degli impianti di telefonia mobile approvato dal Comune di Fiumicino con delibera di C.C. n. 16 del 5 marzo 2015,

nonché, quanto ai motivi aggiunti:

– del provvedimento n. 191 dell’11 agosto 2015 del Comune di Fiumicino ha negato il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica;

– di ogni atto connesso, tra cui la nota prot. n. 6751 del 12 agosto 2015 con cui il Comune di Fiumicino ha trasmesso il provvedimento di diniego;

– degli artt. 8 e 22 del regolamento per l’installazione e l’esercizio degli impianti di telefonia mobile approvato dal Comune di Fiumicino con delibera di C.C. n. 16 del 5 marzo 2015;

nonché, quanto agli ulteriori motivi aggiunti:

– della nota del 30 maggio 2017 con cui il Comune di Fiumicino ha invitato la società ricorrente a non effettuare i lavori;

– dell’art. 1, comma 3, del regolamento per l’installazione e l’esercizio degli impianti di telefonia mobile approvato dal Comune di Fiumicino con delibera di C.C. n. 16 del 5 marzo 2015,

e per l’accertamento della formazione del titolo abilitativo per silenzio assenso.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Fiumicino;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 ottobre 2018 il dott. Francesco Arzillo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Considerato in fatto e in diritto:

1. La ricorrente Wind Telecomunicazioni s.p.a. agisce nella qualità di titolare della “licenza individuale per il servizio radiomobile pubblico di comunicazione numerico DCS1800 sul territorio italiano” nonché di licenziataria del Ministero delle Comunicazioni per la gestione del servizio pubblico di comunicazioni mobili e per l’installazione della relativa rete in Italia, altresì, con il sistema di terza generazione secondo lo standard denominato UMTS (Universal Mobile Telephone System).

Essa impugna, con il ricorso principale, il regolamento per l’installazione e l’esercizio degli impianti di telefonia mobile approvato dal Comune di Fiumicino con delibera di C.C. n. 16 del 5 marzo 2015, e con i successivi due atti recanti motivi aggiunti:

– il provvedimento n. 191 dell’11 agosto 2015, con cui il Comune di Fiumicino ha negato il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, unitamente agli art.. 8 e 22 del menzionato regolamento;

– la nota del 30 maggio 2017 con cui il Comune di Fiumicino ha invitato la società ricorrente a non effettuare i lavori, unitamente all’art. 1, comma 3, del medesimo regolamento.

La società ha dedotto una pluralità di profili di violazione di legge ed eccesso di potere, chiedendo altresì l’accertamento della formazione del titolo abilitativo per silenzio assenso.

2. Si è costituito in giudizio il Comune di Fiumicino, resistendo al ricorso.

3. Il ricorso è stato chiamato per la discussione all’udienza pubblica del 30 ottobre 2018 e quindi trattenuto in decisione.

4. Con il ricorso introduttivo, la società contesta sia la procedura di approvazione del regolamento per l’installazione e l’esercizio degli impianti di telefonia mobile approvato dal Comune di Fiumicino con delibera di C.C. n. 16 del 5 marzo 2015, sia in particolare varie disposizioni dello stesso.

5. Con il primo motivo di ricorso, la società lamenta la mancanza di una fase di concertazione idonea a consentire la partecipazione dei quattro gestori di telefonia al procedimento, previa comunicazione di avvio del procedimento, nonché la carenza di adeguata istruttoria e delle relative attività tecnico conoscitive.

5.1 Quanto all’omissione delle garanzie partecipative, è sufficiente richiamare l’art. 13, comma 1, della L. n. 241/1990 a mente del quale le “disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione”: si tratta quindi di una censura infondata.

5.2 Con riferimento alla carenza di istruttoria e di valutazione tecnica, essa viene prospettata sulla base di un’interpretazione della previsione dell’art. 8, comma 6 della L. n. 36/2001. Questa disposizione, che attribuisce ai Comuni il potere regolamentare ai fini della minimizzazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, andrebbe intesa nel senso:

– di non invadere la competenza statale in materia di salute e di tenere in primo piano il profilo urbanistico/territoriale;

– di non introdurre oneri procedurali ulteriori rispetto ai quelli previsti dal codice delle comunicazioni;

– di non vietare indiscriminatamente l’installazione delle SRB su gran parte del territorio comunale, anche introducendo limiti di esposizione o valori di campo diversi da quelli previsti dalla legge statale e limiti “distanziali” ulteriori.

Detti profili sono sviluppati in parte anche col secondo mezzo di impugnazione, col quale si contesta in particolare l’art. 1 del regolamento, con cui è vietata l’installazione degli impianti di telefonia mobile ad una distanza inferiore a quella minima di 150 metri dai siti classificati sensibili – tra cui sono elencati oltre agli specifici edifici adibiti a ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido, anche le aree destinate a verde pubblico, i parchi gioco, i parchi pubblici, le aree soggette a tutela integrale dal Piano di Gestione della riserva naturale statale del litorale romano – lamentandosi l’applicazione di un indiscriminato divieto sanitario contrastante col diritto di installare le infrastrutture per telecomunicazioni e con la normativa primaria in materia di limiti di esposizione e distanze.

Le censure sono infondate.

Come già osservato nelle sentenze di questo Tribunale pronunciate con riferimento al regolamento di Roma Capitale (cfr. in particolare la sent. n. 11367/2017), l’imposizione di un limite cd. “distanziale” ragionevole rientra nel potere regolamentare previsto dall’articolo 8, comma 6, della legge n. 36/2001 “per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”. Le finalità previste dalla norma comportano che il potere regolamentare del Comune “vada considerato espressione dell’autonoma e fondamentale competenza che detto ente ha nella disciplina dell’uso del territorio. Esso può tradursi nell’introduzione sia di regole poste a tutela di zone e beni di particolare pregio paesaggistico, o ambientale, o storico artistico, sia nell’individuazione di siti che, per destinazione d’uso e qualità degli utenti, possano essere considerati “sensibili” alle immissioni radioelettriche, e quindi inidonei alle installazioni degli impianti per la minimizzazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici (Consiglio di Stato, Sez. III, 19 marzo 2014, n. 1361; 14 febbraio 2014 n. 723). In base all’orientamento giurisprudenziale più recente del Consiglio di Stato, il regolamento comunale previsto dall’art. 8, comma 6, della L. n. 36 del 2001, nel disciplinare il corretto insediamento nel territorio degli impianti, può contenere regole per la protezione dall’esposizione ai campi elettromagnetici di zone sensibili ponendo anche divieti generalizzati alla localizzazione degli impianti nelle adiacenze di siti sensibili come scuole ed ospedali o parchi e aree per il gioco e per lo sport, purché non impediscano la copertura di rete del territorio nazionale (Consiglio di Stato, n. 3085 del 18 giugno 2015; n. 4188 dell’8 settembre 2015, n. 2073 del 5 maggio 2017)”.

Il Collegio ritiene in particolare che anche un limite distanziale fissato a centocinquanta metri non sia manifestamente irragionevole. Infatti “il parametro della distanza, ancorché non sia l’unico rilevante sotto il profilo tecnico ai fini della valutazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici nei singoli casi, riveste un rilievo fondamentale e comunque significativo alla stregua delle leggi fisiche. Esso si rivela quindi maggiormente idoneo a essere assunto nel contesto di una disciplina la quale, per sua stessa natura, costituisce espressione di una valutazione generalizzata ex ante delle situazioni di fatto: ciò avendo riguardo alle finalità di prevenzione/protezione rilevanti sul piano statistico, le quali si aggiungono – non illegittimamente – a quelle che sono considerate dai limiti fissati su base nazionale; mentre ogni altra considerazione di misura e di opportunità dei relativi valori, anche in relazione alla rilevanza del cd. “principio di precauzione” – che può operare anche oltre le soglie minime fissate sulla base della normativa nazionale – rimane estranea al sindacato di questo giudice, coinvolgendo profili misti di discrezionalità tecnica e amministrativa” (sent. n. 11367/2017 cit.).

5.3 Quanto ai profili procedurali la relativa censura è inammissibile per difetto di immediata lesività.

6. Con la seconda parte del secondo motivo di ricorso, si censura l’art. 6 del regolamento che ha individuato dei criteri di priorità per la localizzazione degli impianti (aree agricole o verdi non abitative e non attrezzate a esclusione delle aree vincolate; aree industriali a bassa occupazione, ogni altra area in caso di impossibilità o inidoneità delle precedenti localizzazioni, nel rispetto dei criteri relativi alle aree sensibili), e ha indicato anche alcuni criteri di preferenza, tra cui in primo luogo quello delle aree/immobili appartenenti al demanio o al patrimonio comunale e – ove ciò non sia possibile – su aree/immobili preferibilmente a destinazione non residenziale, di proprietà di altri soggetti pubblici o privati.

La ricorrente sostiene che siffatta disposizione, al di là di quanto già denunciato nel precedente paragrafo, risulta illegittima, per violazione diretta delle disposizioni di cui all’art.86, comma 1 lett. a) del D. Lgs.259/2003 che, parificando gli impianti di telefonia cellulare alle opere di urbanizzazione primaria, consente espressamente le relative istallazioni indistintamente su aree tanto pubbliche che private comunque idonee alle esigenze di funzionamento della rete, in tal modo evitandosi la configurazione di veri e propri “limiti alla localizzazione” come tali vietati.

6.1 La censura è infondata in quanto la previsione impugnata, con ogni evidenza, pone non dei limiti, ma dei semplici criteri di localizzazione privi del carattere dell’esclusività e costituenti una semplice scala di priorità che risponde a un ragionevole bilanciamento di interessi.

In proposito il Consiglio di Stato, con la sentenza della Sezione Terza, del 5 maggio 2017, n. 2073, nel ripercorrere la giurisprudenza formatasi sul punto (dalle note sentenze della Corte Costituzionale n. 307/2003 e n. 331/2003 sino alle pronunce dello stesso supremo consesso della giustizia amministrativa, n. 723/2014, n. 1955/2014 e n. 306/2015), ha ribadito il principio secondo cui le disposizioni regolamentari sono illegittime se pongono limiti generali che potrebbero rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, mentre sono legittime se consentono una possibile localizzazione alternativa (affermando, in sintesi, che <<la pianificazione comunale di settore può interdire agli impianti anche ampie aree, purché ciò sia riconducibile ad uno degli interessi previsti dalla norma e purché ciò, consentendo la localizzazione in aree alternative, non determini difficoltà di funzionamento al servizio – circostanze che devono essere verificate in concreto attraverso il confronto con gli operatori>>).

7. Il terzo motivo di impugnazione è volto a lamentare illegittimità dell’art. 7 del Regolamento, che disciplina le delocalizzazioni e gli adeguamenti degli impianti esistenti, in asserito contrasto col principio fondamentale che nega che si possa incidere – per effetto della sopravvenienza di uno strumento regolamentare, urbanistico o pianificatorio – sulla efficacia di titoli abilitativi precedentemente rilasciati, e su impianti installati ed esistenti.

7.1 Il motivo è parimenti infondato.

La disposizione in questione si limita a disporre la riduzione a conformità degli impianti esistenti non conformi alle prescrizioni tecniche del regolamento entro due anni dall’entrata in vigore dello stesso, compatibilmente con la qualità del servizio e con le migliori tecnologie disponibili; ovvero la delocalizzazione a cura e a spese del gestore, previa la valutazione congiunta del relativo onere economico qualora la delocalizzazione avvenga su un sito di proprietà comunale.

Ad avviso del Collegio non viene in rilievo un’immediata retroattività, ma semplicemente un procedimento transitorio di riduzione a conformità (reale o mediante delocalizzazione), che contempera ragionevolmente le contrastanti esigenze di tutela degli interessi dei comuni e dei gestori, entrambe costituzionalmente rilevanti e quindi è conforme ai criteri dettati dalla giurisprudenza recente del Consiglio di Stato (Sez. III, n. 2073/2017).

8. Con il quarto motivo di ricorso si censura l’art. 8 del regolamento sia nella parte in cui impone al gestore di presentare in allegato al Programma Annuale delle Installazioni, che ciascun gestore dovrà presentare entro il 30 giugno di ciascun anno (documentazione decisamente gravosa rispetto al procedimento semplificato previsto dal Codice delle Comunicazioni e dalle direttive comunitarie che hanno portato alla previsione del procedimento autorizzatorio unico di cui all’art. 87 citato), sia nella parte in cui (unitamente all’art. 9) non assoggetta il procedimento volto all’esame ed all’approvazione del Piano a termini perentori, con la previsione di un silenzio – assenso.

8.1 Il motivo è infondato.

Questo giudice ha già avuto modo di rilevare che è proprio “attraverso il piano territoriale della telefonia mobile che si realizza, a tutela dei vari interessi coinvolti, quel continuo e costante dialogo tra le parti che deve caratterizzare, secondo l’insegnamento della giurisprudenza, il rapporto tra comuni e gestori del servizio di telefonia mobile.

Il piano garantisce le esigenze dei gestori di una razionale programmazione e pianificazione del servizio di rete sul territorio […] Sulla necessità di tale strumento, quindi, non vi può essere alcun dubbio. Esso consente, nel contesto di una visione dinamica della regolazione amministrativa, il costante adeguamento delle norme alla situazione di fatto nel contesto della pluralità degli interessi in gioco, in piena conformità con i principi di cui all’art. 97 della Costituzione.

Rimane fermo che la natura pianificatoria dell’atto, alla quale corrisponde la procedura delineata dalla norma in vista dell’acquisizione degli interessi rilevanti, non si presta alla previsione di un silenzio – assenso; mentre non è esclusa ovviamente la disponibilità di altri strumenti con i quali gli interessati possano far valere le sopravvenute esigenze alla stregua dei principi che governano la tutela giurisdizionale; e lo stesso vale anche con riferimento alle integrazioni e/o modifiche relative a casi singoli che siano adeguatamente documentati” (sent.Tar Lazio, sez. II – quater, n. 11367/2017 cit.)”.

9. Con il quinto e con il sesto mezzo di impugnazione la ricorrente censura alcune previsioni procedimentali e in particolare:

– la disposizione dell’art.15 (rectius: 10) del Regolamento comunale intitolata “procedimento autorizzatorio”, nella parte in cui ha inteso assoggettare anche gli interventi di modifica o di ampliamento di impianti preesistenti, al procedimento previsto dall’art.87, senza tener conto delle ulteriori forme di semplificazione introdotte di recente al Codice delle Telecomunicazioni per particolari tipologie d’interventi;

– la disposizione dell’art. 11, intitolato “progettazione”, che violerebbe sia la disposizione dell’art.93 del D. lgs.259 / 03 che l’allegato 13 modd. A e B, pretendendo l’allegazione di una cospicua documentazione alla cd. “domanda di autorizzazione”, più gravosa sotto vari profili rispetto a quella che il legislatore ha previsto per la realizzazione degli impianti fissi;

– la previsione dell’art. 13, nella parte in cui sancisce che non possano essere rilasciate autorizzazioni per impianti non previsti nel Programma annuale, mentre potranno essere ammesse ed approvate solo le modifiche delle caratteristiche di emissione degli impianti esistenti purché comportino riduzioni di emissioni, previa approvazione del progetto d’installazione mediante delibera di Giunta Comunale: previsione che sarebbe illegittima in quanto ostacola il soddisfacimento di motivate sopravvenute esigenze di copertura del servizio; e in quanto sottopone ad autorizzazione anche un intervento riduttivo della potenza degli impianti esistenti (mera manutenzione);

– la disposizione dell’art. 14, nella parte in cui assoggetta anche gli impianti a carattere temporaneo e provvisorio alle medesime procedure autorizzative stabilite dall’art.10: impianti che non sono soggetti alla normativa del codice delle comunicazioni ma solamente alla disciplina edilizia delle opere precarie di cui al D.P.R. n. 380/2001.

9.1 Le censure sono inammissibili in quanto attengono a previsioni procedimentali prive di immediata lesività (la quale andrà verificata in concreto nella fase applicativa con riferimento ai singoli procedimenti).

10. Quanto ai motivi aggiunti proposti avverso il provvedimento n. 191 dell’11.8.2015, con cui il Comune di Fiumicino ha rigettato l’istanza di autorizzazione paesaggistica richiesta dalla ricorrente in data 23.12.2013, occorre rilevarne l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto con la nota n. 398 dell’1.02.2016 il provvedimento è stato revocato in autotutela.

11. Vanno infine esaminati i motivi aggiunti proposti avverso il provvedimento del 30.5.2017 con cui il Comune ha definitivamente rigettato l’istanza di autorizzazione ai sensi del D. Lgs. n. 259/2003 richiesta dalla ricorrente in data 23.12.2013, per come integrata e modificata con nota del 15.05.2017.

Il diniego si fonda:

– sulla intervenuta disdetta ad opera del locatore del contratto di locazione di porzione di terreno sito nel Comune di Fiumicino alla via Erminio Marcias, 38;

– sulla ritenuta non conformità dell’intervento proposto all’art. 1, comma 3 del Regolamento comunale, e in particolare sulla violazione del limite “distanziale” di 150 metri dai “siti sensibili”.

12. Vanno anzitutto esaminati il secondo e il terzo motivo, che postulano l’avvenuta formazione del titolo per silenzio – assenso, con la conseguenza che il provvedimento impugnato risulterebbe assunto:

– tardivamente rispetto al termine perentorio di 90 giorni di cui all’art. 87, comma 9 del D. Lgs. n. 259/2003;

– in assenza del procedimento volto all’eventuale annullamento d’ufficio del titolo abilitativo in autotutela.

12.1 Le censure sono infondate in quanto nella specie il silenzio – assenso non risulta essersi formato.

Infatti nella specie l’istanza è stata presentata in data 23.12.2013; mentre l’autorizzazione paesaggistica è stata infine rilasciata in data 8.11.2016 sulla base delle indicazioni contenute nel parere della Soprintendenza che subordinavano il rilascio al verificarsi di una serie di condizioni (altezza massima di 26 mt. dal suolo, tinteggiatura del palo con vernice opaca, smontabilità della struttura, verificazione della legittimità del vicino fabbricato); e l’impugnato diniego reca la data del 30.5.2017.

In realtà, però, in data 15.05.2017 Wind, con nota prot. n. 361/2017 aveva chiesto:

– al Comune di Fiumicino di “considerare la documentazione allegata, redatta in conformità alla suindicata condizione in sostituzione di quella precedentemente consegnata”;

– all’Arpa Lazio di emettere un nuovo parere tecnico.

E’ quindi evidente che nella specie il silenzio – assenso non si è formato per l’assorbente considerazione che alla data del provvedimento di diniego mancava ancora il nuovo parere radioprotezionistico dell’ARPA, richiesto dalla stessa ricorrente con la lettera del 15.5.2017.

Secondo la difesa della ricorrente le prescrizioni imposte in sede di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica non appaiono tali da consentire il riavvio dei termini del procedimento; ma in realtà la stessa ricorrente, nel comunicare l’adeguamento alle prescrizioni in data 15.5.2017, ha riconosciuto che il procedimento era ancora in corso, anche ai fini della nuova decorrenza del termine di novanta giorni, dovendosi richiedere un nuovo parere ARPA a seguito dell’adeguamento dell’altezza dell’impianto.

Il fatto, poi, che il diniego si basi poi su una diversa motivazione attinente alla violazione dell’art.1 comma 3 del Regolamento approvato con delibera di C.C. n.16 del 5.3.2015, non incide sul profilo relativo al silenzio – assenso, ma attiene piuttosto al merito del diniego impugnato.

13. Con il quarto mezzo del secondo atto recante motivi aggiunti, la ricorrente lamenta l’omissione del preavviso di diniego ai sensi della normativa sul procedimento amministrativo.

14.1 La censura va disattesa in ossequio alla previsione di cui all’art. 21 – octies, comma 2, della L. n. 241/1990, in quanto nella specie il diniego si regge sull’assorbente profilo della violazione del limite “distanziale” di 150 mt. dai siti sensibili, come risulta da quanto esposto nel prosieguo.

15. Nel merito è decisivo l’esame del quinto motivo, unitamente all’ottavo, con i quali si lamenta la genericità della motivazione in quanto l’Amministrazione non ha indicato nel provvedimento quale sia effettivamente il sito classificato che verrebbe in rilievo nella specie ai fini del calcolo della distanza di 150 metri prevista dal regolamento comunale.

15.1 La censura è infondata, avuto riguardo sia al principio della motivazione per relationem agli atti del procedimento sia agli elementi acquisiti agli atti della causa, rilevanti ai sensi e per gli effetti del menzionato all’art. 21 – octies, comma 2, della L. n. 241/1990.

Nella specie non è controverso che l’impianto verrebbe a trovarsi alla distanza di ml 139 dal Liceo statale “Paolo Baffi”, il quale rientra nella classificazione all’art. 1 comma 3 lettera a) del regolamento comunale.

Si tratta di una previsione regolamentare generale e astratta, ad attuazione vincolata, la quale prescinde, come tale, dalla concreta configurazione dei lobi di irradiazione dell’impianto nonché da ulteriori ponderazioni in concreto degli interessi in gioco.

16. Il sesto e il settimo motivo sono infondati in quanto attengono, in via sostanzialmente derivata, alle previsioni del regolamento comunale impugnate con il ricorso introduttivo, con riferimento a vari profili procedurali e sostanziali (procedimento e istruttoria della delibera comunale; distanza dai siti sensibili) che sono infondati alla stregua di quanto esposto in precedenza.

17. Vanno infine disattesi il primo e l’ottavo motivo, con i quali si censura il fatto che il Comune abbia motivato il provvedimento anche facendo riferimento alla disdetta ad opera del locatore del terreno sito nel Comune di Fiumicino, facendo valere sia l’erroneità del presupposto sia la contraddittorietà e lo sviamento di questa motivazione in unione col profilo sanitario-distanziale.

17.1 Il primo motivo va disatteso in quanto la ricorrente non ha interesse a censurare autonomamente questo profilo, una volta appurata la legittimità della parte della motivazione fondata sulla violazione della distanza, che da solo è sufficiente a giustificare l’impugnato diniego.

17.2 Analogamente va respinto l’ottavo motivo, in quanto non sussiste alcuna commistione tra i due aspetti; e quello distanziale, considerato nella sua sostanziale autonomia, si rivela del tutto idoneo a reggere il provvedimento.

18. Dalle suesposte considerazioni deriva:

– che il ricorso introduttivo va respinto;

– che occorre dichiarare l’improcedibilità dei primi motivi aggiunti per sopravvenuta carenza di interesse;

– che i secondi motivi aggiunti vanno respinti.

19. Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio avuto riguardo al complessivo sviluppo procedimentale e processuale della vicenda.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), definitivamente pronunciando:

– respinge il ricorso introduttivo;

– dichiara improcedibili i primi motivi aggiunti per sopravvenuta carenza di interesse;

– respinge i secondi motivi aggiunti.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 ottobre 2018 con l’intervento dei magistrati:

Leonardo Pasanisi, Presidente

Francesco Arzillo, Consigliere, Estensore

Floriana Rizzetto, Consigliere

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesco Arzillo Leonardo Pasanisi
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

Depositata in Segreteria il 4 febbraio 2019

 

(Articolo pubblicato con  questo titolo il 6 marzo 2019 sul sito online del Gruppo d’Intervento Giuridico)

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