Cnr, intorno alla centrale a carbone di Vado Ligure «riscontrati eccessi di mortalità per tutte le cause»

 

La centrale a carbone ‘Tirreno Power’ di Vado Ligure (Savona) è stata messa sotto sequestro da parte del Gip di Savona nel marzo 2014 a causa del mancato rispetto delle prescrizioni Aia, e poi chiusa nel giugno di tre anni fa; nel decreto di sequestro si parlava di disastro ambientale e sanitario nelle aree di ricaduta delle emissioni della centrale e 26 manager sono finiti sotto processo, ma i contorni precisi di questo “disastro” iniziano a definirsi solo ora grazie al lavoro degli epidemiologi ambientali dell’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifc) di Pisa, che hanno studiato l’impatto sanitario della centrale avviata nel 1970 e alimentata a carbone fino al 2014, quando appunto la Procura della Repubblica di Savona ha fatto fermare gli impianti a carbone per ‘disastro ambientale doloso’.

La ricerca, pubblicata in questi giorni sulla rivista Science of the Total Environment, ha valutato la relazione tra l’esposizione a inquinanti atmosferici emessi dalla centrale e il rischio di mortalità e ricovero in ospedale per cause tumorali e non tumorali, studiando tutta la popolazione residente dal 2001 al 2013 in 12 comuni intorno a Vado Ligure: in totale sono state seguite 144.019 persone, identificate con l’indirizzo di residenza.

«L’esposizione a biossido di zolfo (SO2) e ossidi di azoto (NOx) è stata stimata dall’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente ligure (Arpal) mediante un modello di dispersione, che ha considerato le emissioni da fonti industriali, portuali e stradali – spiega Fabrizio Bianchi del Cnr-Ifc, coordinatore del gruppo di ricerca – L’area è stata suddivisa in 4 classi di esposizione a inquinanti (diversi livelli con inquinamento di crescente intensità).

La relazione tra effetti sulla salute ed esposizione a inquinamento atmosferico è stata studiata per uomini e donne, confrontando ciascuna delle tre categorie con maggiore concentrazione di inquinanti con quella a minore concentrazione, tenendo conto dell’età e della condizione socio-economica della popolazione (indice di deprivazione).

Nei 12 comuni considerati, nelle aree a maggiore esposizione a inquinanti sono stati riscontrati eccessi di mortalità per tutte le cause (sia uomini che donne +49%) per malattie del sistema circolatorio (uomini +41%, donne +59%), dell’apparato respiratorio (uomini +90%, donne +62%), del sistema nervoso e degli organi di senso (uomini +34%, donne +38%) e per tumori del polmone tra gli uomini (+59%). L’analisi dei ricoveri in ospedale ha fornito risultati coerenti con quelli della mortalità».

I risultati ottenuti, sottolinea Bianchi, indicano che «anche considerando le diverse fonti inquinanti cui sono stati esposti i cittadini, ci sono stati forti eccessi di rischio di mortalità prematura e di ricovero ospedaliero per i residenti intorno alla centrale a carbone di Vado Ligure.

L’esposizione alle emissioni è risultata associata a numerosi eccessi di mortalità e di ricovero in ospedale, in particolare per le malattie dei sistemi cardiovascolare e respiratorio, per i quali d’altra parte la dimostrazione scientifica di un legame con l’inquinamento atmosferico è più convincente.

I risultati conseguiti confermano peraltro le conoscenze pregresse, ma è la prima volta che viene effettuata una quantificazione del rischio, purtroppo molto alto».

Tutto questo conferma che «le centrali per la produzione di energia alimentate a carbone rappresentano una fonte significativa di inquinanti atmosferici che impattano a livello locale e globale.

Oltre alle note emissioni di biossido di carbonio (CO2), che contribuiscono al riscaldamento globale, ci sono quelle di biossido di zolfo (SO2), che sono associate a effetti dannosi per la salute».

Un problema, questo, che in Italia non riguarda affatto solo Vado Ligure: come documenta un dossier elaborato dal Wwf nel dicembre 2018 «attualmente in Italia sono in funzione 9 centrali a carbone, assai diverse per potenza installata, tecnologia impiegata e livello di operatività.

Questi impianti nel 2016 avevano contribuendo a soddisfare circa l’11% del consumo interno lordo di energia elettrica con circa 35.608 GWh.

A fronte di questi dati, tutto sommato abbastanza modesti, nel 2016 gli impianti a carbone hanno prodotto circa 32 milioni di tonnellate di CO2 corrispondenti a quasi il 34,5% di tutte le emissioni del sistema elettrico nazionale (92,5MtCO2).

Per il 2017 ancora non sono disponibili i dati ufficiali di emissione ma dai valori riportati nei registri ETS si stima siano sulle 28,7 MtCO2, un valore piuttosto considerevole se rapportato al fatto che il carbone nello stesso anno ha soddisfatto appena il 9,8% del fabbisogno elettrico nazionale».

Dati che mostrano come sia urgente arrivare al phase-out degli impianti termoelettrici a carbone italiani al più presto possibile; attualmente il Piano nazionale energia e clima (Pniec) in fase di elaborazione l’ha programmato entro il 2025 (un obiettivo ereditato dalla Sen del 2017), anche se da scienziati e ambientalisti sono forti le pressioni per accelerare le tappe: una sfida anche socialmente rilevante, in quanto nel comparto del carbone il Pniec stima che sono coinvolte 3.841 Ula (Unità di lavoro dipendente equivalente a tempo pieno), lavoratori ai quali dovrà essere garantita una giusta transizione.

La stringata bozza di programma per il nascente Governo tra M5S e Pd non fa però al momento menzione del tema.

Anche i ricercatori auspicano che «si sposti con urgenza l’attenzione sulle valutazioni preventive degli impatti sulla salute, e quindi sulle fonti che si conoscono come maggiormente inquinanti, anziché valutare i danni alla salute già verificatisi a causa delle esposizioni», confidando che «i risultati presentati possano stimolare decisioni a favore della riduzione dei livelli di esposizione riconosciuti dannosi per l’ambiente e la salute e della realizzazione di studi analitici e di programmi di sorveglianza adeguati.

Più in generale, lo studio condotto a Vado Ligure può contribuire a fornire ulteriore alimento all’ampio dibattito in corso sulle opzioni di decarbonizzazione e di contrasto ai cambiamenti climatici».

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 3 settembre 2019 sul sito online “greenreport.it”)

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