Il decreto Clima, annunciato in pompa magna a settembre, è stato approvato ieri in via definitiva dalla Camera: con 261 sì, 178 no e 5 astenuti l’Aula ha dato il via libera con un voto di fiducia – dopo le modifiche apportate dal Senato – alla conversione in legge del dl 14 ottobre 2019, n. 111. «Con questo provvedimento diciamo a tutti i Paesi del mondo riuniti a Madrid per la Cop25 sul clima che l’Italia c’è e farà fino in fondo la sua parte nella difficile battaglia contro l’emergenza climatica – commenta il leader del M5S Luigi Di Maio – La direzione è quella giusta: dopo questo primo importante passo (anche culturale) verso un nuovo modello virtuoso, siamo pronti a mettere l’ambiente al centro dell’agenda di Governo e del Parlamento». L’auspicio condiviso è infatti che il decreto Clima rappresenti solo un “primo passo”, perché la falcata è assai corta. Nel corso dei mesi il provvedimento ha perso larga parte della propria spinta propulsiva, a cominciare dall’atteso taglio dei sussidi ambientalmente dannosi (19,3 miliardi di euro all’anno, secondo il ministero dell’Ambiente) che dopo i primi annunci è rimasto chiuso nel cassetto. Ad essere sopravvissute all’iter parlamentare sono molte misure positive, ma dalla portata assai limitata: tra le principali novità spiccano i 255 milioni di euro previsti in un arco pluriennale per erogare incentivi fino a 1.500 € legati alla rottamazione dei veicoli, da spendere poi in abbonamenti per i mezzi pubblici, bici e mobilità condivisa; un fondo di 40 milioni di euro per la realizzazione di corsie preferenziali destinate al trasporto pubblico; 20 milioni di euro per sostenere forme di trasporto scolastico con mezzi ibridi o elettrici; 30 milioni di euro per la creazione di foreste urbane; 27 milioni di euro dedicati all’installazione di eco-compattatori per bottiglie di plastica; 6 milioni di euro per l’introduzione dei […]
Archivi Giornalieri: 12 Dicembre 2019
NEW YORK – Impegnata com’è coi lavori del Cop25 di Madrid, dov’è intervenuta stamattina, Greta Thunberg, c’è da giurarci, neanche se ne cura. Ma intanto per quell’America dove ha trascorso l’estate, mobilitando i ragazzi dall’Alaska al Texas, è lei la “Persona dell’anno 2019”. Ovvero quella che, secondo la rivista Time, più d’ogni altro ha determinato l’anno che sta per concludersi. La sedicenne attivista svedese ha battuto il presidente Donald Trump (d’altronde il presidente quell’onore lo aveva già avuto nel 2016, anno della sua elezione). E pure la speaker della Camera Nancy Pelosi, la leader dem “madrina” dell’impeachment. Così come il whistleblower, l’informatore interno alla Casa Bianca che per primo ha denunciato le pressioni del presidente americano sull’omologo ucraino: da molti dato in pole position per la copertina. Time invece ha scelto di omaggiare “il potere della gioventù”. Lo ha annunciato in diretta tv, nel corso del programma mattutino di Cbs Today Show il caporedattore della rivista Edward Felsenthal: “Ha dato voce a un problema globale. Ed è il simbolo di un passaggio generazionale in ambito politico e culturale“. Felsenthal ha poi mostrato la copertina “positiva” con Greta in piedi su uno scoglio affacciato sul mare, con addosso una felpa rosa. Immagine accompagnata dalla dicitura: “Per aver dato l’allarme sulla attitudine predatoria dell’umanità verso l’unica cosa che abbiamo“. Ma anche per “aver mostrato cosa succede quando una nuova generazione prende la guida della protesta“. Riconoscendo a Greta, inventrice dei Fridays for Future, le proteste del venerdì iniziate in solitaria poco più di un anno fa, di fronte alla sua scuola, “di essere riuscita a trasformare vaghe ansie sul futuro del pianeta in un movimento globale“. Come tutti gli anni, Greta non è l’unica ad essere omaggiata sul settimanale americano: per le sue sottocategorie Time ha indicato “i funzionari di stato“, cioè coloro che hanno testimoniato a Capitol Hill nelle audizioni per impeachment […]
Una delegazione che rappresenta 25 tribù e nazionalità indigene dell’Ecuador e del Perù ha portato all’attenzione della 25esime Conferenza delle parti Unfccc un grave rischio che corre un bioma vitale dell’Amazzonia – le sacre sorgenti del Rio delle Amazzoni – a causa dalle trivellazioni petrolifere e dallo sviluppo industriale. La regione in pericolo, conosciuta come Cuencas Sagradas del Amazonas – Amazon Sacred Headwaters, è uno dei luoghi dove nasce il Rio delle Amazzoni e si estende su 30 milioni di ettari tra Ecuador e in Perù – un’area grande quanto l’Italia – dove vivono circa mezzo milione di indigeni di 20 nazionalità (compresi i popoli incontattati e in isolamento volontario) ed è tra i luoghi più ricchi di biodiversità sulla Terra. Eppure, è vulnerabile allo sfruttamento industriale con implicazioni globali irreversibili. Ma l’Ecuador e il Perù stanno attivamente pianificando di espandere l’estrazione petrolifera e di mettere all’asta nuovi blocchi petroliferi in tutta l’area. La coalizione degli indios peruviani ed equadoregni sottolinea che «questo è un problema globale che mette in pericolo l’obiettivo mondiale di 1,5 ° C. Se l’Ecuador e il Perù vogliono veramente mantenere il loro impegno per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, non può verificarsi alcun ulteriore sfruttamento del bacino amazzonico». La Amazon Sacred Headwaters Initiative, guidata dalle federazioni indigene amazzoniche Confenaie, Aidesep, Orpio e Coica, in collaborazione con Pachamama Alliance, Amazon Watch, Fundación Pachamama e Stand.earth, ha pubblicato il nuovo rapporto “The Amazon Sacred Headwaters: Indigenous Rainforest “Territories for Life” Under Threat” che è un vero e proprio campanello d’allarme sul rischio che corre un’area vitale a causa dell’industria petrolifera, ma rappresenta anche un’opportunità che l’Ecuador, il Perù e il mondo devono cogliere perché è un messaggio che viene direttamente da persone le cui culture e stili di vita sono legate strettamente al futuro dei Sacri Sorgenti […]
“Per i leader dei Paesi più ricchi non c’è panico, non c’è un senso di emergenza sul cambiamento climatico. Senza pressioni i politici non fanno molto”. Greta Thunberg si è rivolta agli esponenti politici questa mattina durante la Conferenza dell’Onu sui cambiamenti climatici Cop25 in corso a Madrid: “Non abbiamo più tempo per ignorare la scienza“. La sensazione dell’attivista svedese è che per la politica “non ci sia urgenza nel mettere in campo interventi per affrontare il riscaldamento globale. Ma dopo un anno e mezzo dall’avvio della sua protesta ha trovato ancora più ragioni per parlare ai Paesi più ricchi”. Greta da quando è arrivata a Madrid lo scorso 6 dicembre ha assistito a più conferenze e partecipato allo sciopero globale sul clima del movimento Fridays for Future. E resterà in Spagna fino alla fine della Cop25 che si chiuderà venerdì 13 dicembre: durante la giornata verranno poi consegnati ai capi di Stato. All’Onu non è la prima volta che Greta si rivolge ai politici. Un anno fa, alla Cop24 di Katowice in Polonia, aveva detto: “Ci state rubando il futuro, come vi permettete”. E oggi, dopo aver acquisito altri particolari e più consapevolezza sugli studi scientifici si è chiesta come non si possa avere “un senso di panico di fronte al fatto che la scienza dice che ci sono solo otto anni per intervenire” con il taglio dei gas a effetto serra per evitare disastri ambientali“. Per la 16enne svedese il “problema è globale, coinvolge tutti, ricchi e poveri oggi” e bisogna “evitare che le future generazioni debbano respirare solo Co2“. A un anno di distanza, tuttavia, ha riconosciuto: “La gente è più consapevole ed è pronta. Perché abbiamo democrazia non solo in occasione delle elezioni ma in ogni momento”. Del resto, nella storia “ogni grande cambiamento è arrivato dalla gente. Noi possiamo fare il cambiamento, ora. Ci sono le chance per fermare lo scioglimento dei ghiacci, la deforestazione e gli eventi meteo estremi provocati dal riscaldamento globale”. E, infine, ha aggiunto come siano ancora “vuote” le promesse fatte dai Paesi più ricchi “di ridurre o […]
Uno dei simboli più iconici delle Dolomiti, il ghiacciaio della Marmolada, è destinato a soccombere sotto l’incedere dei cambiamenti climatici: in soli 10 anni (dal 2004 al 2015) ha già perso il 30% del volume e il 22% dell’areale, un trend che non promette niente di buono come dimostra lo studio Recent evolution of Marmolada glacier (Dolomites, Italy) by means of ground and airborne GPR surveys, realizzato dai ricercatori del Cnr-Ismar e delle Università di Trieste, Genova e Aberystwith (Galles) e di Arpa Veneto. «Il primo rilievo – spiega Renato Colucci del Cnr-Ismar – è stato acquisito usando un ‘ground penetrating radar’ (Gpr) terrestre, una tecnologia non invasiva utilizzata in geofisica, basata sul segnale elettromagnetico riflesso e trasmesso dal terreno a seconda delle caratteristiche, creando sezioni dettagliate. Il secondo, invece, usando dati raccolti in volo con GPR da elicottero. In questo modo è stato possibile ricostruire due modelli 3D del ghiacciaio che hanno permesso di misurare con precisione non solo le caratteristiche interne e morfologiche, ma anche l’evoluzione recente nel corso del decennio, quantificato in termini volumetrici». Il ghiacciaio, un tempo massa glaciale unica, è ora frammentato e suddiviso in varie unità, dove in diversi punti affiorano masse rocciose sottostanti. I terreni carsici, come la Marmolada, sono irregolari e costituiti da dossi e rilievi. Se il ghiaccio fonde gradualmente, le aree in rilievo affiorano, diventando fonti di calore interne al ghiacciaio stesso. «Questo aspetto, unito al cambio di albedo (la neve e il ghiaccio sono bianchi e riflettono molta radiazione solare, mentre la roccia, più scura, ne riflette di meno) – aggiunge Colucci – sta ulteriormente minando la ‘salute’ della Marmolada accelerandone la già forte e rapida fusione». Come sottolineano dal Cnr la ricerca ha inoltre evidenziato che, se il tasso di riduzione continuerà di pari passo come nel decennio […]