Nei primi nove mesi dell’anno, rispetto allo stesso periodo del 2018, i controlli eseguiti sono aumentati del 10,7%, i reati perseguiti del 25,4% e gli illeciti amministrativi accertati del 5,3%. Questi alcuni dei dati del bilancio dell’azione svolta dai Carabinieri Forestali per il contrasto agli ecoreati sul territorio nazionale. Rifiuti, traffici di specie animali e piante in via di estinzione, bracconaggio, pirateria agroalimentare le voci principali degli illeciti. Di rilievo il capitolo incendi dove si sta sviluppando un’attività di intelligence tutta orientata all’uso di nuove tecniche come gli algoritmi. Il bilancio dell’attività dal momento dell’unificazione tra Corpo forestale dello Stato e l’Arma dei Carabinieri (dal 1/o gennaio 2017 in seguito al dl n.177 del 19 agosto 2016) si legge in un rapporto di cui l’ANSA è venuta in possesso, parla di controlli eseguiti in aumento nel 2017, con un incremento dell’11,7% rispetto al 2016; nel raffronto 2017/2018, un ulteriore aumento del 7,1%. I reati perseguiti nel 2017, hanno fatto registrare un aumento del 25% rispetto al 2016. Un picco, superiore anche ai risultati conseguiti negli anni precedenti, connesso prevalentemente al fenomeno degli incendi boschivi, tenuto conto che la Campagna Aib 2017 è stata caratterizzata da una situazione ambientale molto critica che ha favorito l’ innesco e la propagazione dei roghi. Nel 2018, i dati, pur segnando una contrazione dell’11,5% nel raffronto con il 2017, risultano comunque in aumento del 13,7% rispetto ai reati perseguiti nel 2016. Gli illeciti amministrativi accertati hanno fatto registrare nel 2017, un incremento del 2,5% rispetto al 2016; nel raffronto 2017/2018, un ulteriore aumento del 28,4%, superiore del 16,8% rispetto al dato più altro segnato nel 2014. In particolare sull’unificazione Cfs-Cc, sono stati sinora qualificate, nei vari ruoli, 555 unità e nei prossimi anni ne verranno immesse ulteriori 235 al compimento degli articolati cicli di studi, ricoprendo […]
Archivi Giornalieri: 21 Dicembre 2019
La sentenza viene pronunciata in streaming dalla Corte Suprema dell’Olanda, ed è di per sé una modalità eccezionale: il governo olandese ha l’obbligo di ridurre entro la fine del 2020 le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 25% rispetto al 1990 e quindi deve prendere le misure opportune e appropriate per raggiungere questo obiettivo. La mancata assunzione di responsabilità del governo olandese nel far fronte alla crisi climatica, secondo la più alta corte olandese dell’Aja, è una violazione degli articoli 2 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Sono gli articoli che tutelano il diritto alla vita e al benessere delle persone, diritti universali, inviolabili. SEMPRE IN STREAMING si sentono le urla di gioia degli attivisti della fondazione ambientalista Urgenda che nel 2013 insieme con 886 cittadini, ha fatto causa allo stato olandese accusandolo di non aver fatto abbastanza contro l’emergenza climatica. Dopo aver vinto in primo e secondo grado, e dopo i ricorsi del governo che rigettava l’idea di farsi dettare l’agenda da chicchessia, ieri Urgenda ha avuto ragione con sentenza definitiva: per la prima volta uno stato portato in tribunale dai suoi cittadini viene condannato per non aver fatto agito contro il caos climatico. DOPO LA PRONUNCIA – in olandese – il presidente della Corte Suprema legge un breve riassunto in inglese, cosa mai successa prima in Olanda: del resto, la sentenza era attesa ieri in tutto il mondo da migliaia di attivisti che al caso Urgenda si sono ispirati per portare in tribunale governi renitenti. Se a Madrid alla Cop 25 la comunità internazionale ha dato il peggio di sé non riuscendo a fare un passo avanti per mitigare i cambiamenti climatici, almeno all’Aja i giudici hanno scritto nero su bianco gli obiettivi che il governo olandese deve raggiungere. «Questa sentenza restituisce un po’ […]
ANGUILLARA – Dall’Associazione “Diritti Cittadinanza del Lago” riceviamo e pubblichiamo: “Assurdo che nel 2020 si pensi ancora di risolvere il problema dei rifiuti di una metropoli come Roma, mettendoli sotto il tappeto, con la scelta medievale di una discarica”. L’Associazione Diritti Cittadinanza del Lago esprime tutto il dissenso per la scelta della Raggi che ci ha riportato indietro di 40 anni. L’incapacità a dare una risposta sensata al problema rifiuti si ripercuote sulla vita delle persone. I cittadini di Tragliatella e delle zone limitrofe rifiutano questa violenza con cui un’amministrazione sorda alle richieste dei territori. Non è pensabile che nel 2020 si pensi ancora di risolvere il problema dei rifiuti di una metropoli come Roma, mettendoli ‘sotto il tappeto’, con la scelta medievale di una discarica. Chi partorisce un simile abominio non è degno di amministrare neanche un condominio, figuriamoci se può essere a capo della capitale di uno dei paesi più industrializzati del pianeta. Erano gli anni settanta quando in località Malagrotta venne aperta quella che è diventata la discarica più grande d’Europa, la vergogna di Roma, un impianto che ha minato un territorio in maniera irreversibile. A sei anni dalla chiusura della discarica di Malagrotta, Roma Capitale, che da 3 anni e mezzo è amministrata dal Movimento Cinque Stelle, non ha fornito alcuna soluzione decente al problema. Una giunta inadeguata, che ha lasciato per tre anni la città in mezzo al caos, e oggi decide di violentare un territorio che ha già pagato troppo sotto il punto di vista ambientale e che non ha neanche una rete fognaria. Ricordiamo che a poca distanza dal sito individuato a Tragliatella c’è il sito di stoccaggio di scorie nucleari presso lo stabilimento Enea della Casaccia, le antenne di Radio Vaticana, le antenne della Marina Militare di Santa Rosa, le cave di […]
Villa Pamphilj dice addio a decine di alberi. I fondi dell’appalto europeo per la manutenzione verticale, hanno messo in azione le motoseghe dei giardinieri. A farne le spese sono stati i pini ed i cedri che impreziosivano la storica villa romana. Gli alberi malati “La parte interna dei grandi alberi – ha spiegato l’assessora all’Ambiente Laura Fiorini – è stata completamente degradata dalla presenza di funghi, agenti di carie, che hanno consumato la cellulosa (carie bruna) o la lignina (carie bianca) del fusto. Una malattia questa non curabile soprattutto nelle conifere dove agisce molto rapidamente indebolendo la pianta e minandone la stabilità”. Il via libera al taglio Il Campidoglio ha anche tenuto a precisare, attraverso un post pubblicato dalla stessa Fiorini, che il via libera è arrivato “dopo la valutazione delle piante ed i sopralluoghi con la Sovrintendenza Capitolina e la Soprintendenza ai Beni culturali che ha approvato gli abbattimenti”. La quantità di tagli però, ha suscitato molta impressione. Sono infatti numerosi i cittadini che, anche sui social network, stanno contestando la massiccia operazione messa in campo dall’amministrazione. La valutazione dell’agronomo “Le carie si sviluppano a seguito di lesioni che lasciano vie d’entrata per le spore dei funghi – ha spiegato Sara Sacerdote, consigliera provinciale dei dottori agronomi e forestali di Roma – di solito in funghi entrano dai tagli delle potute. E purtroppo agendo sui tessuti morti delle piante, non ci sono cure”. Un rischio calcolato Le immagini diffuse dall’assessorato all’ambiente, mostrano dei tronchi cavi. Dunque a rischio caduta. Era quindi divenuto inevitabile l’abbattimento? Non necessariamente. “Esiste la possibilità di fare delle rilevazioni, con i macchinari, in grado di determinare quale sia il rischio di caduta di un albero – ha chiarito l’agronoma – significa fare un passo in più rispetto al classico Visual Tree Assesment. E con una valutazione del genere, alcuni alberi potevano essere probabilmente risparmiati […]
Nonostante le promesse e i solenni impegni presi da governi di ogni colore negli ultimi anni nei consessi internazionali, dal dossier ”Tutti i sussidi alle trivellazioni” pubblicato oggi da Legambiente arriva la conferma che «in Italia la cancellazione dei sussidi alle fonti fossili è ancora un’utopia. Nonostante l’emergenza climatica in atto, si continua ad investire su questi fonti inquinanti, responsabili dell’effetto serra, agevolando attraverso un sistema di royalties inadeguato canoni troppo bassi rispetto a quelli europei e prevedendo anche la possibilità di dedurre le royalties dall’imponibile regionale (fino a un massimo del 3%). Il tutto accompagnato da piccoli passi in avanti, ma del tutto insufficienti per affrontare la decarbonizzazione in una fase di emergenza». A guadagnarci lautamente sono le compagnie che estraggono gas e petrolio: 18,8 i miliardi di euro nel solo 2018, tra sussidi diretti e indiretti, a danno dell’ambiente, e una ingente perdita per le casse dello Stato. Legambiente ha calcolato che «il pacchetto di rendite e privilegi destinati alle compagnie che trivellano mari e territori della Penisola, si traducono in 474 milioni di euro di mancate entrate per lo Stato, Regioni e Comuni. Risorse che potrebbero essere destinate alla bonifica dei territori inquinati dai siti di estrazione e di produzione da fonti fossili e allo sviluppo di un nuovo, efficiente e democratico sistema energetico basato sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, competitive e vera ricchezza del Paese, sull’efficienza energetica e su una nuova mobilità a zero emissioni». Ecco i numeri delle trivellazioni in Italia: nel nostro Paese le 18 aziende che producono idrocarburi sono in grado di soddisfare un percentuale davvero povera dei consumi interni lordi Italia. Parliamo di un contributo rispetto ai consumi interni lordi italiani pari a 2,6% per il gas e al 2,4% per il petrolio. Un bottino assai magro, ma che grazie ad un sistema di […]