Evitiamo gli imballaggi che inquinano

 

Fare la spesa oggi può apparire una sfida algebrica perché sono tante le variabili da valutare affinché la nostra scelta sia (il più possibile) in armonia con uomo e ambiente: provenienza, stagionalità, modello produttivo, ingredienti (additivi, aromi, grassi, zuccheri inclusi) e, non da ultimo, l’imballaggio.

Sì proprio l’imballaggio, quella parte a cui nessuno bada e che di solito buttiamo.

Chi progetta e produce imballaggi ha il compito, non più derogabile, di ridurre gli sprechi e l’impatto ambientale.

Anche in questo caso il settore agroalimentare (responsabile di oltre un quarto delle emissioni di CO2) svolge un ruolo importante assorbendo circa il 42% della produzione di imballaggi.

Se a questo si aggiunge il comparto bevande (23%) si arriva a due terzi degli imballaggi prodotti (percentuale che sale al 76,3% se si considera solo la plastica).

Un settore in espansione spinto dalle confezioni mono porzione e dai cibi pronti.

Un tempo il packaging aveva anche una funzione attrattiva, adesso deve, secondo gli studi di marketing, caratterizzare fortemente un prodotto in termini di sostenibilità ambientale.

Nonostante queste indicazioni, siamo ancora troppo indietro rispetto ai traguardi da raggiungere.

Il recente Decreto clima prevede l’istituzione di Misure per l’incentivazione di prodotti sfusi o alla spina.

Un passo importante per l’abbattimento dell’imballaggio, anzi la strada maestra è proprio questa, ma purtroppo sono ancora pochi i punti vendita di prodotti sfusi e sono del tutto assenti nella grande distribuzione.

È lì che dobbiamo puntare, ma nell’immediato e nei casi in cui è difficile eliminare l’imballaggio, cosa si può fare?

I prodotti, ad esempio, dovrebbero essere confezionati con monomateriale.

Una soluzione efficace per ottimizzare gli scarti e per aumentare il quantitativo di packaging effettivamente riciclabile con la raccolta differenziata.

Troviamo imballaggi formati con diversi tipi di plastica o più spesso materiali plastici accoppiati ad altri come carta o alluminio, tanto che diventa poi più complicato riuscire a separarli al momento della raccolta dei rifiuti.

Risultato: la maggior parte di questi imballaggi finisce nella raccolta indifferenziata o «sporca» la differenziata rendendola meno utilizzabile.

Bisognerebbe preferire imballaggi il più possibile naturali.

Noi consumatori se siamo di fronte a prodotti simili la scelta deve cadere su quello la cui confezione impatta meno: tra yogurt in vetro o in plastica meglio il primo così come sono da prediligere i biscotti o la pasta confezionati con la carta.

L’elenco è lungo.

Spesso compriamo prodotti bio, e poi scopriamo che sono confezionati con materiale non compostabile, andando a vanificare gli sforzi per ottenere cibi senza inquinare.

Il ruolo del progettista di imballaggi diventa sempre più importante per la tutela dell’ambiente.

In questa direzione sono da valutare con interesse gli studi per la produzione di confezioni realizzate da scarti vegetali.

Ridurre l’imballaggio è un obiettivo che si deve raggiungere a breve, perché gli imballaggi sono stati e sono ancora (pensiamo all’incremento che hanno avuto con l’e-commerce) causa di significativi danni ambientali.

 

(Articolo di Valter Musso, pubblicato con questo titolo il 23 gennaio 2020 sul sito online del quotidiano “il manifesto”)

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