N.B. – Secondo la Relazione definitiva ai Piani di Localizzazione, che risale al 2017, gli impianti pubblicitari esistenti all’epoca erano 27.911 per una superficie espositiva complessiva di 166.103 mq. (e non dei 137.000 dichiarati in testa all’articolo). Con i Piani di Localizzazione approvati dalla Giunta Capitolina con deliberazione n. 243 del 13 novembre 2027, il numero dei futuri cartelloni pubblicitari da istallare in futuro a Roma scenda a 15.019 per una superficie espositiva complessiva di 61.349,6 mq. . L’articolo riporta la ripartizione del numero degli impianti destinati ad ognuno dei 7 circuiti (e non i 6 dichiarati) per un totale di 14.391 impianti che non è quella definitiva per un totale di 15.019 e per dimensioni leggermente diverse per ognuno dei 7 circuiti: riporta per di più un numero errato degli impianti riservato al circuito SPQR, che non è di 347 ma di 3.471. La metratura massima consentita dal vigente Regolamento comunale è di metri 3,00 x 2,00 e non di 3,20 x 2,40, che è una dimensione riservata esclusivamente agli impianti speciali riservati al servizio di bike sharing e di elementi di pubblica utilità. Secondo l’articolo sarebbe “necessario mettere nuovamente a gara le postazioni”: si tratta di una affermazione non rispondente al vero, dal momento che le posizioni in cui risultano istallati attualmente sul territorio non sono stati mai messi a gara, come invece si dovrà fare e per la 1° volta con le 27.911 posizioni individuate dai Piani di Localizzazione. Con l’intervista rilasciata al giornale il Presidente della Commissione Commercio lascia intendere che “bisognerà riapprovare ‘a cascata’, e con le opportune modifiche sulla parte tributaria, tutti gli atti approvati finora”. Il comma 847 dell’art.1 della legge n. 160 del 27 dicembre 2019 (legge di bilancio) ha abrogato i capi I e II del decreto legislativo n. 507 […]
Archivi Giornalieri: 23 Gennaio 2020
Fare la spesa oggi può apparire una sfida algebrica perché sono tante le variabili da valutare affinché la nostra scelta sia (il più possibile) in armonia con uomo e ambiente: provenienza, stagionalità, modello produttivo, ingredienti (additivi, aromi, grassi, zuccheri inclusi) e, non da ultimo, l’imballaggio. Sì proprio l’imballaggio, quella parte a cui nessuno bada e che di solito buttiamo. Chi progetta e produce imballaggi ha il compito, non più derogabile, di ridurre gli sprechi e l’impatto ambientale. Anche in questo caso il settore agroalimentare (responsabile di oltre un quarto delle emissioni di CO2) svolge un ruolo importante assorbendo circa il 42% della produzione di imballaggi. Se a questo si aggiunge il comparto bevande (23%) si arriva a due terzi degli imballaggi prodotti (percentuale che sale al 76,3% se si considera solo la plastica). Un settore in espansione spinto dalle confezioni mono porzione e dai cibi pronti. Un tempo il packaging aveva anche una funzione attrattiva, adesso deve, secondo gli studi di marketing, caratterizzare fortemente un prodotto in termini di sostenibilità ambientale. Nonostante queste indicazioni, siamo ancora troppo indietro rispetto ai traguardi da raggiungere. Il recente Decreto clima prevede l’istituzione di Misure per l’incentivazione di prodotti sfusi o alla spina. Un passo importante per l’abbattimento dell’imballaggio, anzi la strada maestra è proprio questa, ma purtroppo sono ancora pochi i punti vendita di prodotti sfusi e sono del tutto assenti nella grande distribuzione. È lì che dobbiamo puntare, ma nell’immediato e nei casi in cui è difficile eliminare l’imballaggio, cosa si può fare? I prodotti, ad esempio, dovrebbero essere confezionati con monomateriale. Una soluzione efficace per ottimizzare gli scarti e per aumentare il quantitativo di packaging effettivamente riciclabile con la raccolta differenziata. Troviamo imballaggi formati con diversi tipi di plastica o più spesso materiali plastici accoppiati ad altri come carta o […]
La lotta al caos climatico si fa anche con il mattone. Secondo il Bilancio energetico italiano la totalità degli immobili, residenziale e terziario, assorbe il 40% circa dei consumi energetici finali, e rilascia una quota quasi equivalente di gas climalteranti, più dell’industria (23%) e dei trasporti (28%). È un settore che, malgrado la crisi economica degli ultimi anni, ha visto crescere i consumi energetici del 4% (dal 2008 al 2016) mentre sono calati quelli di industria (-27,5%) e trasporti (-11%). Secondo i dati del progetto europeo Odyssee-Mure il consumo energetico annuo per singola abitazione in Italia è il più alto in Europa e negli ultimi 15 anni non ci sono stati sostanziali miglioramenti, mentre molto meglio di noi hanno fatto la media dei paesi europei, con un calo medio del 17%, in particolare Francia e Germania (-20%) e soprattutto Gran Bretagna (-33%). ORA CHE CE LO CHIEDE L’EUROPA di de-carbonizzare il parco immobiliare, cioè di abbattere le emissioni di Co2, l’Italia parte decisamente in salita, considerando che il 70% dei nostri edifici avrebbe bisogno di interventi radicali sia all’involucro che agli impianti. Entro il 2050 le emissioni legate agli edifici dovranno essere tagliate dell’80-95% rispetto al 1990. Bruxelles mette in evidenza le enormi potenzialità del provvedimento, non solo dal punto di vista occupazionale, ma anche come mezzo per alleviare la povertà energetica, di cui l’Italia ha indici molto elevati secondo l’European Domestic Energy Poverty Index (2019), in particolare tra i pensionati. Il dato è confermato da un’indagine di Fondazione di Vittorio e Spi (Sindacato Pensionati Italiani), che ha rilevato come un anziano su tre non riesca a far fronte alle spese energetiche e si trovi nelle condizioni di richiedere il bonus sociale per energia elettrica e gas. FORME DI ECOBONUS CHE INCENTIVANO l’efficienza energetica sono in vigore da tempo in Italia, […]
Che esista un’Italia dei veleni nascosti lo sappiamo, ma quando sentiamo parlare di discariche abusive, bonifiche non effettuate, stoccaggi non autorizzati il più delle volte li associamo al centro-sud. Nemmeno il Nord è però immune. Anche la terra dello sviluppo economico, dell’impresa, della produttività, ha il suo carico di povere nascosta sotto un tappeto di omertà, malaffare, corruzione, cinismo. Da qui La terra di sotto, progetto documentale che si avvale di varie discipline, dalla fotografia alla cartografia, dall’architettura al giornalismo, per far prendere consapevolezza di una realtà che spesso si preferisce non vedere. LA TERRA DI SOTTO PORTATA ALLA LUCE SI DISPIEGA lungo una direttrice che da Torino va verso Venezia passando per Milano, utilizzando come asse quell’autostrada A4 che inconsapevolmente collega alcuni fra i peggiori casi di inquinamento del nostro paese. Luca Quagliato, fotografo, l’ha percorsa assieme al giornalista Luca Rinaldi, a Massimo Cingotti, cartografo, e Matteo Aimini, ricercatore in architettura del paesaggio. Risultato: il racconto di 70 casi di inquinamento industriale in Piemonte, Lombardia e Veneto. «Il lavoro nasce nel 2014 come ricerca geografica», racconta Luca Quagliato, «avevo iniziato ad occuparmi di una discarica a Milano, in via Selvanesco, il territorio dove io sono cresciuto. Da questo piccolo caso ho cominciato a chiedermi cosa mi circondasse, ho trovato la base dati dei siti contaminati e da Milano ho allargato la visuale, considerando l’intero sistema della Pianura Padana». QUELLO CHE EMERGE È UN TERRITORIO LA CUI STORIA industriale è anche una storia di inquinamento: da quello provocato dai primi insediamenti, quando ancora non si poteva parlare di reati ambientali perché mancava la legislazione in materia, fino a ai casi di vera e propria criminalità, legata soprattutto allo smaltimento dei rifiuti. Osservando i casi diventa evidente come mano a mano il rifiuto comincia ad avere un valore e determina un nuovo […]
Un anno dopo la prima bozza inviata alla Commissione europea, il Governo italiano – e in particolare i ministeri dello Sviluppo economico, dell’Ambiente e dei Trasporti – ha inviato a Bruxelles la proposta definitiva del Pniec: il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, ovvero il documento con il quale vengono stabiliti gli obiettivi nazionali al 2030 sull’efficienza energetica, sulle fonti rinnovabili e sulla riduzione delle emissioni di CO2. Il nuovo testo «recepisce le novità contenute nel decreto legge sul Clima nonché quelle sugli investimenti per il Green new deal previste nella legge di Bilancio 2020» e la sua concreta attuazione «sarà assicurata dai decreti legislativi di recepimento delle direttive europee in materia di efficienza energetica, di fonti rinnovabili e di mercati dell’elettricità e del gas che saranno emanati nel corso del 2020». Per il ministro Patuanelli (Mise) l’obiettivo dell’Italia «è quello di contribuire in maniera decisiva alla realizzazione di un importante cambiamento nella politica energetica e ambientale dell’Unione europea», ma di fatto il Pniec nasce già vecchio: la nuova Commissione Ue guidata da Ursula von der Leyen chiede un taglio delle emissioni continentali tra il 50 e il 55% al 2030 rispetto al 1990, mentre l’Europarlamento ha approvato pochi giorni fa la richiesta di concentrare gli sforzi sul 55%. Gli sforzi italiani previsti nel Pniec si limitano invece a supportare l’obiettivo previsto dalla normativa per ora vigente (-40%), senza alcuno slancio d’ambizione. Nel corso dell’ultimo anno il Piano «è stato oggetto di un proficuo confronto tra le istituzioni coinvolte, i cittadini e tutti gli stakeholder», la compagine di Governo nel mentre è (parzialmente) cambiata ma il testo è rimasto sostanzialmente lo stesso. Per quanto riguarda il taglio delle emissioni di gas serra nazionali, ad esempio, il trend previsto nel Pniec non è cambiato di una virgola rispetto a quello avanzato lo scorso anno, e prevede […]
Il 30 e 31 gennaio e il primo febbraio sono previste diverse iniziative per festeggiare i 30 anni del Parco Naturale Regionale della Lessinia e per dire no alla decisione della maggioranza a trazione leghista della Regione Veneto di tagliare di quasi il 20% il territorio protetto. Molti non sono d’accordo, come le 72 associazioni che hanno sottoscritto un appello indirizzato a tutte le istituzioni interessate, a partire da Regione e Comuni, fino al ministero dell’ambiente. Commentando l’appello, il consigliere regionale veneto Stefano Valdegamberi (Lista Zaia ex UDC, che sulla sua pagina Facebook mostra una vera e propria ossessione anti-lupi e orsi), ha rivendicato il suo parere favorevole alla riduzione della superficie destinata al Parco, «nonostante le accese proteste e le iniziative di contrasto portate avanti da più di un centinaio di associazioni scaligere e non» e ha aggiunto che «circa 2000 ettari in meno che, se confermati in consiglio regionale tra circa un mese, vedrebbero cadere alcuni vincoli burocratici senza compromettere l’ambiente o gli equilibri naturalistici, paesaggistici e architettonici di questo territorio». Valdegamberi rivendica «il diritto di prendere delle decisioni da parte di quelle persone che proprio in Lessinia ci abitano e ci lavorano e che sono figlie, magari, di generazioni di montanari che bene hanno gestito il territorio nei secoli». Alla piccata di Valdegamberi alla lettera delle associazioni, ribatte uno dei firmatari, il presidente del Wwf Verona Michele Dall’O’ che dice che «mette in evidenza nervi scoperti che rivelano la pochezza delle “argomentazioni” pro riduzione del Parco della Lessinia. La principale delle quali è la ben nota pretesa del “paroni a casa nostra”. Ricordiamo ai veronesi che fin dalla sua nascita il Parco è stato sempre governato dagli amministratori della Lessinia, tra i quali i signori Cona, Marcolini, Melotti, Garra, Pigozzi e adesso Campostrini; lo stesso Valdegamberi, a metà degli anni 2000, è stato Assessore Regionale […]
IL LUNGO volo delle api? Grazie alla cannabis. Ci voleva la legalizzazione per aiutare uno dei tanti insetti che, a causa della crisi climatica ma soprattutto il larghissimo uso di pesticidi e insetticidi in agricoltura, sta lentamente scomparendo. Negli ultimi cinque anni si stima siano stati persi dieci milioni di alveari al mondo. Dagli States all’Europa, spesso a causa dei prodotti chimici utilizzati nelle coltivazioni, si contano perdite per oltre il 40% di esemplari e anche la produzione di miele, a livello generale, è in costante declino. In quello che è stato più volte definito come l’Armageddon degli insetti in corso, ovvero l’enorme perdita di specie fondamentali per il funzionamento degli ecosistemi, da tempo si cercano soluzioni per evitare il declino di miliardi di esemplari. Uno, quasi involontario, ma decisamente efficace, è offerto dalla recente legalizzazione anche a scopo ricreativo in 11 diversi Stati americani: in queste aree con la coltivazione delle piante di marijuana prosperano le popolazioni di api. A raccontarlo è una ricerca scientifica della Cornell University che ha pubblicato su Environmental Entomology i risultati di uno studio in cui si evince che le api frequentano sempre di più le alte piantagioni di canapa di diverse aree dove la produzione di cannabis è aumentata grazie alla legalizzazione. Ricche di nutrienti, i pollini di queste piante secondo i ricercatori possono fornire alle api una sorta di sollievo dopo la continua perdita di habitat legata all’uso agricolo e agli insetticidi. In particolare alle api “piace” la canapa sativa, varietà che per i ricercatori della Cornell è stata in grado di aiutare e attirare “16 diverse specie“. A richiamare le api è il polline delle piantagioni di canapa, ricco e abbondante, che sostituisce per gli insetti la grande carenza floreale che si sta verificando nelle zone agricole soprattutto a fine estate. Un polline, quello […]
Non si fermano le fiamme in Australia: il rogo dell’aeroporto di Canberra ha riportato l’attenzione sull’emergenza incendi. Sono ancora un centinaio i focolai attivi e, dopo i temporali e le grandinate che negli scorsi giorni hanno flagellato la regione, il ritorno delle alte temperature e del forte vento potrebbe provocare un nuovo peggioramento. Nelle scorse settimane l’emergenza è stata seguita, documentata e commentata in tutto il mondo ma, complice l’ondata emotiva e il tam tam dei social network, alcune informazioni sono state distorte, o diffuse in maniera imprecisa. Foto diventate virali che in realtà erano grafici in 3D, arresti “gonfiati” per avvalorare la tesi degli incendi dolosi, stime che vanno precisate. Elementi che però nulla tolgono alle proporzioni – enormi – del disastro, che ha causato fino ad ora la morte di 29 persone e ha ridotto in fumo più 6,3 milioni di ettari di terra. Un danno incalcolabile per gli habitat naturali e la biodiversità, specialmente nelle riserve protette, come a Kangaroo Island, dove la popolazione dei koala è stata dimezzata. Tutti gli esperti sono concordi nel ritenere che – aldilà dei singoli roghi originati da un fulmine o dall’azione umana – le proporzioni degli incendi delle ultime settimane siano effetto indiretto dei cambiamenti climatici e dell’aumento globale delle temperature: siccità prolungata, caldo record, poche precipitazioni. Ecco alcuni elementi che richiedono precisazioni. “183 piromani arrestati” Diversi account Twitter, agevolati dai bot, hanno rilanciato la notizia di 183 arresti per gli incendi australiani. In realtà, i dati ufficiali diffusi dalla polizia del New South Wales dicono che le persone arrestate per aver appiccate volontariamente il fuoco, da novembre a oggi, sono 24. Altre 53 persone sono accusate di aver violato il “fire ban”, il divieto di accendere fuochi all’aperto e a altre 47 persone dovranno subire procedimenti legali minori per aver gettato una sigaretta o un fiammifero al suolo. Il Guardian parla di una mirata “campagna di disinformazione” dagli accenti negazionisti, che vuole esagerare il ruolo dei piromani e quindi ridimensionare gli effetti dei cambiamenti climatici. […]