Se fosse vera la notizia che la Fase 2 prevede un ulteriore inasprimento da applicare solo agli over 65, non c’è dubbio che ci troviamo in presenza di un atto illegittimo, ancorché privo di motivazioni scientifiche. Il rischio di esposizione al coronavirus non è anagrafico ma ambientale, al punto che il sistema respiratorio di un bambino di 10 anni che ha la sfortuna di vivere a Bergamo o a Milano è molto più compromesso di quello di un ultra settantenne fumatore che vive nelle regioni meridionali, fatta eccezione, forse, per la Campania. Se nelle aree maggiormente colpite come Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana sono allocati il 73% dei termovalorizzatori e il 64,2% delle centrali a biomasse, sarebbe il caso di avviare un’indagine seria sulla relazione causale tra numero di contagi e di morti e fattori di esposizione a rischio, visto che geograficamente si sovrappongono. Ma l’indagine non dovrà essere affidata a venditori di fumo, servono scienziati esperti di ecologia ambientale che, qualche volta, potrebbe capitare dicano la verità, come ha fatto per anni il prof. Ferdinando Laghi con dati scientifici alla mano e facendo riferimento a importanti studi internazionali. Le centrali a biomassa del nord Italia, bruciano ogni anno 2,8 milioni di tonnellate di legno e producono 21,3 milioni di µg I-TEQ (tossine equivalenti) di diossina e 214,3 milioni di milligrammi di benzo(a)pirene. A queste vanno aggiunte le emissioni dei termovalorizzatori e dei numerosi impianti industriali. I termovalorizzatori ubicati nel nord bruciano 5,5 milioni tonnellate di rifiuti/anno e emettono 291,5 milioni di µg I-TEQ e 3,8 milioni di milligrammi di benzo(a)pirene. Senza parlare delle polveri sottili e nano polveri per le quali non abbiamo dati numerici da sottoporvi. Cosa producono diossina e benzo(a)pirene, nano particelle e particolato atmosferico, per esempio? Malattie allergiche, asma bronchiale, bronchiti acute e croniche, enfisema […]