Il “catastrofico declino” della fauna selvatica: in 50 anni persi due terzi della popolazione globale

 

Diete più sane e rispettose dell’ambiente e ridurre gli sprechi.

Così, forse, si può evitare l’estinzione degli animali.

Il Wwf lancia l’allarme con un rapporto che contiene numeri da brividi: in 50 anni abbiamo perso il 68% della popolazione globale selvatica.

Un danno causato dalle nostre azioni, a cui solo l’essere umano può porre rimedio.

Se non si vuole fare per amore degli animali, almeno per la propria salute e sopravvivenza, legata a quella dell’ambiente selvatico.

Il Living Planet Report 2020, il rapporto annuale del Wwf che monitora la riduzione delle popolazione globale di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci, quest’anno ha registrato un calo medio di due terzi degli animali selvatici.

Il rapporto sottolinea come la crescente distruzione della natura da parte dell’umanità stia avendo impatti catastrofici non solo sulle popolazioni di fauna selvatica, ma anche sulla salute umana e su tutti gli aspetti della nostra vita“, ha affermato Marco Lambertini, direttore generale del Wwf Internazionale: “Non possiamo ignorare questi segnali: il grave calo delle popolazioni di specie selvatiche ci indica che la natura si sta deteriorando e che il nostro pianeta ci lancia segnali di allarme rosso sul funzionamento dei sistemi naturali.

Dai pesci degli oceani e dei fiumi alle api, fondamentali per la nostra produzione agricola, il declino della fauna selvatica influisce direttamente sulla nutrizione, sulla sicurezza alimentare e sui mezzi di sussistenza di miliardi di persone“.

Il Living Planet Report raccoglie l’ennesimo sos lanciato dalla Natura che, questa volta, i leader mondiali che si riuniranno (virtualmente) tra pochi giorni per la 75esima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, non potranno ignorare“.

Il calo medio del 68% negli ultimi 50 anni è una catastrofe e “una chiara prova del danno che l’attività umana sta arrecando al mondo naturale”.

Se non si interviene, sottolinea il rapporto, si va verso l’estinzione sicura e la distruzione degli ecosistemi da cui tutti noi dipendiamo.

Tra i cambiamenti necessari: rendere la produzione e il commercio alimentare più efficienti ed ecologicamente sostenibili, ridurre gli sprechi e favorire diete più sane e rispettose dell’ambiente.

La ricerca mostra che l’attuazione dell’insieme di queste misure, consentirà al mondo di alleggerire le pressioni sugli habitat della fauna selvatica, invertendo così i trend negativi.

Nella migliore delle ipotesi queste perdite impiegherebbero decenni per invertire la rotta e sono probabili ulteriori perdite irreversibili di biodiversità, mettendo a rischio la miriade di servizi ecosistemici da cui le persone dipendono“, ha affermato David Leclère, autore principale dell’articolo e ricercatore presso l’International Institute of Applied System Analysis.

A fianco delle statistiche allarmanti, ci sono  esempi di alcuni casi che mostrano il potenziale di ciò che si può ottenere con un’azione immediata, collettiva e decisa: la tartaruga caretta nel Simangaliso Wetland Park, Sudafrica, lo squalo pinna nera del reef in Australia occidentale, il castoro europeo in Polonia, o le tigri e i panda, tutti aumentati nel loro numero globale.

Il Living Planet Report 2020 è stato diffuso proprio in prossimità della 75esima sessione dell’assemblea generale delle Nazioni Unite che si terrà martedì prossimo, nella quale i leader dovranno esaminare i progressi compiuti sugli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’agenda 2030, l’accordo di Parigi sul clima e la Convenzione sulla diversità biologica.

Spiega Marco Lambertini: “Il modello ‘bending the curve’, fornisce una prova preziosa per poter sperare nel ripristino della natura capace di fornire alle generazioni attuali e future ciò di cui hanno bisogno: secondo questo modello i leader mondiali devono, oltre agli sforzi di conservazione, creare un sistema alimentare più sostenibile e eliminare la deforestazione, una delle principali cause del declino della popolazione della fauna selvatica, dalle catene di approvvigionamento“.

(Articolo pubblicato con questo titolo il 10 settembre 2020 sul sito online del quotidiano “la Repubblica”)

 

 

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