«Le fonti fossili devono essere poco convenienti»

 

«Il consumo delle risorse ambientali non rinnovabili deve diventare sempre meno conveniente. È questa la ratio della nostra proposta».

Dopo lunghe e delicate battaglie sui diritti umani e le libertà civili, dall’eutanasia alla fecondazione assistita all’intelligenza artificiale, troviamo Marco Cappato impegnato sul fronte dei cambiamenti climatici a rilanciare il tema della tassazione delle emissioni, il Carbon pricing.

Cappato, voi proponete una riforma fiscale contro i cambiamenti climatici, ce la spiega?

Le emissioni di CO2, tutte, devono costare almeno 50 euro a tonnellata e progressivamente arrivare a costare 100 euro entro il 2025: in questo modo le fonti fossili diventano sempre meno convenienti e si può accelerare la transizione verso forme di produzione di energia pulita.

Questo meccanismo va introdotto con ampie garanzie che ci siano delle compensazioni sul piano sociale e che non si verifichino aumenti dei prezzi o delocalizzazioni.

Le rivolte dei gilet gialli in Francia ci ricordano che le compensazioni vanno introdotte contestualmente, non possono essere vaghe promesse.

Come ci si arriva?

La nostra Ice indica un obiettivo da raggiungere, non può entrare nel merito di come arrivarci, però un riferimento all’abbassamento delle tasse sui redditi più bassi è a indispensabile per la sostenibilità politica della proposta.

Nel Green Deal si parla di spostamento del carico fiscale dal lavoro all’inquinamento. È fiducioso?

Il problema è la velocità di questo processo.

L’Ets europeo ci ha impiegato 15 anni a produrre qualche timido effetto.

Non possiamo procedere con questa lentezza.

L’emergenza coronavirus dovrebbe averci insegnato che ci sono situazioni che impongono accelerazioni. L’emergenza climatica è una di queste.

Il Fondo Monetario Internazionale propone invece un «prezzo minimo volontario» per la C02.

Io penso che uno dei maggiori problemi degli operatori economici sia l’incertezza.

Molti sarebbero pronti a investire in innovazioni nella transizione ecologica se avessero la certezza di guadagnarci, se sapessero che, imboccata una strada, è quella che ti permette di guadagnarci di sicuro, e viceversa, se non la imbocchi, ci perdi di sicuro.

Chi investe in innovazione non deve affrontare il rischio di trovarsi un giorno penalizzato.

Perché avete scelto la strada dell’Ice, l’iniziativa dei cittadini europei, che si sta rivelando uno strumento non così semplice…

L’idea ci è venuta quando abbiamo visto il manifesto a favore del Carbon pricing di 27 premi Nobel cadere nel vuoto.

Se la consapevolezza dei problemi ambientali è cresciuta negli ultimi anni, per contro, sul piano della proposta politica c’è uno stallo.

Quindi, chiamare in causa direttamente i cittadini con l’unico strumento di partecipazione offerto dai trattati Ue ci è sembrata una precisa scelta politica per collegare l’opinione pubblica a una proposta.

Per contrastare la deriva populista di chi il popolo lo vuole solo guidare, bisogna avere il coraggio di interpellare i cittadini.

In 10 paesi europei è già stata introdotta una carbon tax, ma non in Italia.

Come se lo spiega?

L’estemporaneità del dibattito politico in materia ambientale in Italia fa spavento.

La vicenda della plastic tax è emblematica.

Non si può pensare di introdurre un provvedimento di questo tipo senza prevedere contestualmente delle compensazioni.

Sono misure che vanno preparate guardando al lungo periodo, cosa che in Italia non si può fare perché siamo sempre in campagna elettorale.

Quando la politica è ostaggio del consenso, non solo le misure di carattere ambientale, ma anche una discussione seria sul Servizio sanitario o sui flussi migratori, non sono possibili.

La bassa qualità del dibattito pubblico produce bassa qualità delle decisioni.

(Intervista di Daniela Passeri,  pubblicato con questo titolo il 17 settembre 2020 su  “l’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto” di pari data)

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