“Un disastro collettivo che nessun partito sa più rappresentare”

“Siamo entrati nella dimensione di uno sconvolgimento profondo del nostro assetto economico, soprattutto nella parte di popolazione della fascia più bassa, che già è stata fortemente segnata.”

DI TOMMASO RODANO, IL FATTO QUOTIDIANO, 30 APRILE 2022

“Quando Draghi ha detto che stavamo entrando in una “economia di guerra” ho fatto un salto sulla sedia. Ma mi ha colpito ancora di più che non ci sia stata nessuna reazione. Il mondo politico ascolta il capo del governo che annuncia un passaggio epocale e non richiede nemmeno un’ora di discussione”.
Marco Revelli, la crisi della pandemia scivola tragicamente nella crisi della guerra. Che tempi ci aspettano?
Siamo entrati nella dimensione di uno sconvolgimento profondo del nostro assetto economico, soprattutto nella parte di popolazione della fascia più bassa, che già è stata fortemente segnata. La dinamica inflazionistica in corso si accentuerà e si incrocerà con una parallela e convergente dinamica recessiva, perché un’infinità di interazioni e interrelazioni economiche si rompono, una quantità molto ampia di contratti andranno rescissi. Ascoltavo gli imprenditori calzaturieri usare il termine “catastrofe” per definire cosa significasse, per loro, la fine del contratto russo. Ma andranno in crisi interi comparti: c’è tutto un tessuto che viene lacerato senza che questo sia oggetto di dibattito politico.
Non se ne discute né in Parlamento, né fuori.
Siamo scivolati dentro la guerra senza che il Parlamento ne fosse investito, tutti appesi al rampino di quel voto sulla mozione sull’Ucraina. È una sospensione clamorosa della democrazia. Poi, certo, possiamo dire che non è una novità, ma Draghi ha governato con una sospensione della democrazia parlamentare. Tanto più è ampia la maggioranza, tanto più è forte la verticalizzazione delle decisioni. Siamo a un mutamento epocale, potenzialmente sconvolgente, che avviene senza consenso popolare. Sulle armi, per esempio, è palese la contrapposizione tra quello che pensa l’elettorato e quello che fa il ceto politico.
Il solito tema: chi mai potrebbe candidarsi a rappresentare e affrontare la crisi, tra i protagonisti politici?
La questione sociale è uscita dal dibattito pubblico. L’Istat dice, sulla base delle dinamiche inflazionistiche, che avremo un calo del potere d’acquisto dei salari del 5%, come minimo. Siamo già il Paese nell’area Ocse con la peggiore dinamica salariale negli ultimi vent’anni: non piatta, ma decrescente. Abbiamo una percentuale spaventosamente alta di working poor, poveri malgrado abbiano un posto di lavoro. Nonostante tutto ciò, il mondo del lavoro sacrificato non ha rappresentanza politica, in particolare a sinistra. Il contagio renziano, una specie di long Covid, ha reso quel corpo politico totalmente indifferente alla questione sociale.
Ora c’è la suggestione Mélenchon. Un altro leader straniero, dopo Tsipras e tanti altri (pare sia finito nei ragionamenti di Conte e Bettini, oltre a De Magistris).
Mélenchon non è un fungo spuntato dal niente, è il prodotto di un lavoro di anni sui temi della questione sociale, magari pure con qualche tono populista. Non è un fenomeno riproducibile artificialmente. Anche perché in Italia la catena di delusioni nei confronti delle rappresentanze politiche di sinistra è lunghissima e ha desertificato la possibilità di nuove esperienze. Io me lo auguro, ma ho l’impressione che senza un drastico salto di linguaggio, e soprattutto senza che avvenga qualche processo di mobilitazione sociale dal basso, sarà difficile una risposta all’altezza dell’enorme disagio sociale. Bisogna che si esprima una nuova generazione di dirigenti di massa, legati a un proprio insediamento sociale. Senza di loro non può nascere un’esperienza politica, ma solo un fenomeno mediatico effimero.
Il contesto italiano è quello in cui il capo di Confindustria, Carlo Bonomi, definisce “un ricatto” l’ipotesi di una legge sul salario minimo.
Ci rendiamo conto del mondo rovesciato? I ricattatori che definiscono “ricatto” una rivendicazione sociale sacrosanta. L’Italia è questa roba qua: una società civile caduta, con un sistema dell’informazione decotto, monopolizzato da una logica di affari.

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