L’ultima spiaggia per non regalare il mare ai privati

LEGGI. Il 70% dei lidi è occupato da stabilimenti balneari che pagano canoni irrisori per gestire affari da 15 miliardi di euro all’anno. In questi giorni è braccio di ferro tra governo e maggioranza sulle gare e la trasparenza delle concessioni pubbliche che l’Europa ci impone

DI EDOARDO ZANCHINI, EXTRATERRESTRE-IL MANIFESTO, 26 MAGGIO 2022

Non dovremmo occuparci di spiagge solo perché l’Europa ci ha messo in mora per violazione delle direttive che prevedono di assegnare le concessioni balneari tramite procedure di evidenza pubblica. Il futuro delle aree costiere italiane non è infatti una questione a cui guardare attraverso le lenti deformate di una cronaca che rincorre le proteste dei balneari che si sentono espropriati da spazi che oramai consideravano di loro proprietà. Altrimenti rischiamo di non renderci conto che stiamo parlando di un bene pubblico inalienabile, come stabilisce il codice civile italiano e come stabiliva, già molti secoli fa per i litora maris, il codice di Giustiniano.

IL PROBLEMA E’ CHE DA MOLTO TEMPO abbiamo trascurato e lasciato le aree costiere in una situazione che non ha paragoni al mondo. I dati sono impressionanti, in nessun altro Paese in Europa troviamo una situazione paragonabile a quella italiana di cessione delle spiagge alla gestione privata. Mediamente metà delle spiagge è dato in concessione ma con situazioni incredibili. Per farsi un’idea, nel Comune di Gatteo, in Romagna, non esistono più spiagge libere, ma situazioni simili le troviamo da Rimini a Forte dei Marmi, da Pietrasanta a Laigueglia. Dovrebbero far riflettere i numeri che si trovano in Liguria, Emilia-Romagna e Campania, perché quasi il 70% dei lidi è occupato da stabilimenti balneari e le poche aree senza ombrelloni a pagamento sono quelle intorno a fossi e scarichi in mare, spesso non balneabili.

IN ALCUNE REGIONI SI E’ PROVATO A PORRE dei limiti all’estensione delle concessioni ma continua a mancare, a differenza degli altri Paesi europei, una norma nazionale che fissi regole per garantire il diritto di accedere e fruire liberamente della costa, insieme a criteri per la progettazione e gestione delle strutture, per evitare che si continui a distruggere dune ed ecosistemi attraverso strutture in cemento armato e pavimentazioni. E mentre questi processi procedono inesorabili non ci accorgiamo che le spiagge italiane stanno scomparendo per via dell’erosione costiera, che riguarda oramai circa il 46% delle coste sabbiose, con i tratti di litorale soggetti ad erosione triplicati dal 1970.

CRESCONO LE SPIAGGE IN CONCESSIONE. In Italia le spiagge affidate ai privati continuano ad aumentare. Sono 12.166 le concessioni dai dati dell’ultimo monitoraggio del Sistema informativo demanio marittimo, con un aumento del 12,5% in 3 anni, e un record in Sicilia dove l’aumento è stato del 42%. La ragione è molto semplice, gestire una spiaggia è un ottimo affare, perché a fronte di canoni bassi i guadagni sono sicuri. Il problema è che non solo non esistono limiti nazionali alle spiagge in concessione, ma sono anche scarsi i controlli rispetto alla qualità dell’offerta e al rispetto delle regole. Se infatti si guarda al modo in cui sono gestiti gli stabilimenti a stupire è soprattutto l’incredibile diversità delle situazioni che si incontrano.

DI POSITIVO C’E’ CHE SONO IN CRESCITA le esperienze di gestione virtuosa con attenzione alla sostenibilità e tutela ambientale, con energia da fonti rinnovabili e materiali naturali, che garantiscono l’accessibilità per tutti. Ma il problema è che in tante altre spiagge la situazione è scandalosa. Come a Ostia, dove sono stati alzati muri lunghi chilometri che impediscono di vedere il mare e di accedervi se non paghi, o a Pozzuoli dove sono reti e barriere a impedire l’accesso a un mare di fatto privatizzato, solo per citare due casi.

IL PASSAGGIO ALLE GARE POTREBBE diventare l’occasione per avere informazioni complete sulle concessioni, per verificare il rispetto delle regole, ma prima bisognerebbe scegliere in quale direzione si vuole portare il turismo costiero e da che parte si sta. Perché non è tutto uguale, non si può difendere sia la conduzione familiare degli stabilimenti, chi punta su sostenibilità e tutela dell’ambiente, ma anche coloro che invece hanno asfaltato le dune per costruirci parcheggi abusivi o che costruisce muri per gestire la spiaggia come se fosse proprietà privata.

CANONI E GUADAGNI. I DATI SU QUANTO pagano gli stabilimenti sono da sempre ragione di polemica. Gli ultimi disponibili raccontano di 115 milioni di euro all’anno, ma risultano ancora da versare 235 milioni di canoni non pagati dal 2007. L’attenzione mediatica si concentra quasi sempre sulla distanza tra questa cifra e il giro di affari degli stabilimenti balneari, che è stato stimato da Nomisma in almeno 15 miliardi di euro annui. Ma è da sottolineare anche l’enorme differenza tra gli stabilimenti di Forte dei Marmi o della Sardegna, mete di turismo internazionale e con prezzi esorbitanti, ed invece stabilimenti di realtà in particolare del sud dove gli ombrelloni si affittano per poche settimane all’anno e con prezzi non paragonabili. Anche qui, ridefinire il quadro delle regole può essere l’occasione per fare trasparenza e garantire controlli rispetto ai tanti contratti di subaffitto.

DI SICURO E’ URGENTE AGGIORNARE I CANONI e legarli ai guadagni, ampliando le differenze in funzione delle caratteristiche delle località con premialità legate alle modalità di gestione e agli interventi di riqualificazione ambientale messi in atto dal concessionario. Una novità da introdurre, su cui sono d’accordo anche i balneari, è che una parte del canone rimanga ai Comuni e che si crei un fondo nazionale per interventi di riqualificazione e valorizzazione ambientale dell’area costiera, in modo da finanziare interventi di ripascimento delle spiagge per combattere l’erosione costiera, demolizione di edifici abusivi, tutela delle dune, accessibilità pedonale e ciclabile.

LO SCONTRO IN CORSO. I PROSSIMI GIORNI saranno decisivi per capire come si concluderà il braccio di ferro in corso tra governo e maggioranza sulle gare e la trasparenza delle regole per le concessioni balneari. Al centro del confronto è il disegno di legge sulla concorrenza, tenuto in ostaggio dai partiti per ottenere modifiche ad un testo approvato in Consiglio dei Ministri a febbraio che prevede dal 2024 procedure di evidenza pubblica per l’assegnazione delle spiagge, dando così seguito a innumerevoli sentenze europee e italiane.

PER IL GOVERNO IL TESTO VA APPROVATO entro maggio, altrimenti salta una delle riforme tra gli impegni presi dal nostro paese con il recovery plan, e potrebbe esserci uno stop ai trasferimenti di risorse. I partiti, con in prima fila la Lega, chiedono invece una proroga dei termini con la promessa ai balneari che, dopo le elezioni, la situazione con Bruxelles verrà in qualche modo risolta e le gare cancellate, al limite con cessioni di proprietà demaniali. Ci sarà da seguire con attenzione la decisione finale, perché se si mettono in fila le questioni si comprende come lungo gli ottomila chilometri di aree costiere italiane si stia giocando una partita che va molto oltre le concessioni ma che riguarda il futuro del Paese. Perché si parla di ambiente e di diritti, di lavoro e di turismo per ampliare, qualificare e diversificare l’offerta. Di rilancio di tante aree costiere degradate da abusivismo e mancata depurazione.

GLI OLTRE SEIMILA E QUATTROCENTO chilometri di coste sabbiose e rocciose, inframezzate da porti, borghi e infrastrutture sono uno straordinario patrimonio del nostro Paese che ha bisogno di un progetto di tutela e valorizzazione. Che ad esempio punti a tutelare e rendere fruibili i tratti di costa di maggior pregio, allargando il patrimonio di aree naturali di proprietà pubblica, come sta facendo da tempo la Francia con il Conservatoire du Littoral e come sta avvenendo in diverse regioni spagnole. E che, in parallelo, consenta di portare avanti progetti di adattamento climatico e riqualificazione di tante aree che rischiano in questo secolo di subire enormi cambiamenti per l’innalzamento del livello dei mari, per l’impatto di trombe d’aria, alluvioni, ondate di calore.

* vicepresidente nazionale di Legambiente

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