“Acqua contaminata con ceneri e scorie”. Sigilli allo scarico BASF

 

Immagine.logo BASF Articolo di Riccardo Tagliapietra pubblicato con questo titolo sulla cronaca di Roma del quotidiano “Il Messaggero” del 15 agosto 2014.

Sottotitolo: “Dopo le analisi dello scorso maggio il gip dispone il sequestro. Indagati per traffico illecito i responsabili dell’azienda

L’INCHIESTA

Avrebbero contaminato l’acqua delle falde con ceneri pesanti e scorie.

Con la complicità di due funzionari della Provincia di Roma, finiti sotto inchiesta assieme ai responsabili della BASF Italia spa di via di Salone, azienda costola della multinazionale tedesca, che produce e smaltisce catalizzatori chimici a Settecamini.

 Immagine.Inceneritore BASF.1

Tutti indagati a vario titolo per traffico illecito di rifiuti e avvelenamento di acque.

Comportamenti che, secondo la Procura capitolina, stanno tuttora mettendo a rischio la salute pubblica nell’area dell’ambito di Settecamini.

Immagine.Inceneritore BASF

Case Rosse, Settecamini, dove gravitano circa 30mila abitanti.

Tanto che il giudice per le indagini preliminari, mercoledì mattina, ha disposto il sequestro preventivo dello scarico delle acque reflue industriali provenienti dal vascone di raccolta dell’azienda, dando mandato al nucleo di Sicurezza pubblica emergenziale della polizia locale di Roma capitale.

Liquidi che finirebbero direttamente nell’Aniene, oltre che nelle falde sotterranee, senza alcun trattamento preventivo. 

Un sequestro che apre uno scenario inquietante, perché a seguito delle denunce dei comitati cittadini che da anni si battono per la chiusura dell’impianto, il caso BASF potrebbe aggravarsi. 

LE ACCUSE

Certo è, che dopo la visita degli investigatori all’azienda lo scorso maggio, quando erano stati prelevati numerosi campioni dai 150 agenti municipali e ispettori Arpa mobilitati, il quadro investigativo è cambiato.

Il pubblico ministero Alberto Galanti, tra i massimi esperti in Procura in tema di gestione rifiuti e inquinamento, ha formalmente iscritto nel registro degli indagati direttore e gestore dello stabilimento, compresi due funzionari della Provincia di Roma che avrebbero omesso molte cose. 

La filiale della multinazionale tedesca a dicembre del 2011 aveva ottenuto l’autorizzazione integrata ambientale per sei anni, proprio dalla Provincia di Roma.

Nel 2013 era stato addirittura autorizzato l’aumento delle quantità trattate.

Ma per il pm sarebbero state violate le regole. 

Gli indagati avrebbero organizzato e gestito un traffico illecito di rifiuti, traendone profitto e mettendo a rischio la salute pubblica.

LA GENESI

È una storia lunga quella della Basf e dei suoi catalizzatori chimici.

Tutto comincia nel 1956 con l’arrivo dei primi capannoni della multinazionale tedesca.

La zona, è campagna.

Nel tempo vengono costruite centinaia di palazzine, mentre l’azienda continua a bruciare i catalizzatori esausti.

Oggi ci sono case con le finestre a sessanta metri dai camini della fabbrica che producono otto metri cubi di fumi all’ora. 

I cattivi odori entrano nelle stanze”, denunciano i residenti. 

C’è pure chi scrive al sindaco Marino, segnalando un aumento delle patologie tumorali in zona. 

L’Asl nel 2003 ha rilevato un tasso di mortalità negli uomini superiore al 30% rispetto alla media degli altri territori, senza formalizzare però la correlazione con la presenza Basf.

Immagine.Tumori sospetti a Case Rosse

Comune e Regione, invece, negli anni si sono rimpallati la patata bollente, puntando il dito contro la Provincia, considerata l’unica “responsabile istituzionale”.

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Per una opportuna e maggiore conoscenza dei precedenti relativi a questa vicenda pubblichiamo l’articolo di Gianni Lannes del 9 luglio 2013, integrato da ulteriore documentazione di cui siamo venuti in possesso.

LA BASF A ROMA AVVELENA E UCCIDE ANCHE I BAMBINI

Un’industria pericolosa con licenza di ammazzare impunemente gli esseri umani, ovviamente tutto impeccabilmente a norma di legge. 

Il 30 dicembre 2011 la Provincia di Roma presieduta da Nicola Zingaretti del partito democratico, ha concesso incredibilmente l’Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.) definitiva per 6 anni allo stabilimento di Roma della Basf Italia srl (Basf) ed al suo inceneritore per rifiuti pericolosi.   

L’A.I.A. ha rappresentato l’esito finale di una controversia durata 10 anni tra l’Azienda, le autorità istituzionali, i cittadini e i comitati. 

In pratica la sua concessione era prevista entro il settembre 2007, ma l’istruttoria si è conclusa solo il 30 dicembre 2011, dal momento che l’A.I.A. concessa l’11 dicembre 2009 era provvisoria e a tempo determinato perché condizionata dai risultati del Piano di monitoraggio dell’Istituto Superiore di Sanità (I.S.S.) che il Comune non ha mai realizzato.  

L’A.I.A. è stata concessa senza avere prima accertato i rischi a cui sono esposti, per primi, le 335 famiglie e l’asilo nido attigui allo stabilimento e, a seguire tutti gli altri abitanti di Case Rosse e Settecamini, nonché i lavoratori del Polo Tecnologico. 

Nel maggio dello scorso anno un blitz della polizia locale di Roma Capitale è stato effettuato nell’industria chimica Basf in zona Case Rosse, alla periferia est della città. 

I controlli sono stati decisi solo in seguito agli esposti presentati dai residenti dei quartieri Settecamini, Case Rosse e Ponte di Nona. 

I cittadini in alcuni esposti in particolare, hanno fatto riferimento ad una analisi condotta nel 2004 in cui si è rilevato nell’area una concentrazione di diossina dalle 5 alle 20 volte superiore alla media. 

Odori nauseabondi fin dentro casa che in alcuni casi hanno causato forme di irritazione alla gola e bruciore agli occhi. 

A puntare il dito contro l’inceneritore dell’industria chimica sono i residenti dei quartieri limitrofi: «Sono anni che va avanti questa storia – ha commentato Rocco Margapoti che abita a due passi dall’azienda chimica – siamo davvero stufi. I cattivi odori entrano in casa e alcuni di noi oltre al bruciore degli occhi hanno avuto anche forme di irritazione alla gola. Per non parlare poi delle sostanze pericolose che continuamente vengono sprigionate nell’aria: 150-200mila metri cubi di fumo al giorno. Le case stanno a 68 metri dall’industria – ha puntualizzato – e ci abitano circa 120 famiglie. Come si fa? La Basf in questa zona è incompatibile. Non capiamo come abbia fatto la Provincia, che è l’autorità competente, a rilasciare l’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) concessa proprio a dicembre 2011».

 Immagine.Circondario BASF

[Il 17 maggio 2004 la Engelhard ha trasmesso al sig. Rocco Margapoti la seguente diffida.

Immagine.Diffida a MargapotiImmagine.Diffida a Margapoti.1

ndr.]

Gli fa eco Emilio Montuori, coordinatore del comitato di quartiere Settecamini: «Per noi la Basf è un’industria insalubre di prima classe. Ha un inceneritore con cui brucia catalizzatori industriali esausti per creare metalli preziosi, come il rodio e il palladio, per i nuovi catalizzatori   – da anni lanciamo l’allarme diossina. Finalmente qualcuno ci ha ascoltato. Abbiamo paura anche per l’incidenza dei tumori. Nel 2007 l’Asl RmE ha accertato che in questa zona c’è un 30 per cento in più di quelli linfatici negli uomini». 

E va in scena il solito scaricabarile. 

Da Palazzo Valentini non si è fatta attendere la risposta: «La Provincia di Roma su proposta del Comune di Roma Capitale, ha rilasciato nel 2009 l’autorizzazione all’impianto per una durata di 12 mesi, poi prorogati per un ulteriore anno, per un periodo limitato al tempo strettamente necessario all’attuazione delle procedure che il Comune di Roma, il cui sindaco è autorità sanitaria locale, si era formalmente impegnato a porre in essere e che non sono state più realizzate, al fine di adottare un sistema di monitoraggio ambientale permanente sotto il coordinamento dell’Istituto Superiore di Sanità». 

[Al riguardo è opportuno sapere che con prot. SISP RCI 223 del 26 marzo 2009 è stato rilasciato il Parere del Servizio di Igiene e Sanità Pubblica del Dipartimento di Prevenzione della ASL RMB nell’ambito della Conferenza dei Servizi per il rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.) alla BASF Italia s.r.l. – Divisione Catalizzatori – Via di Salone 245, 00131 Roma.

Il Parere della ASL per il rilascio dell’AIA alla BASF Italia è stato negativo, giustificato dalle risultanze delle analisi effettuate nei siti di seguito indicati.

Immagine.Prelevatori ASL  

Immagine.casi di decesso per linfoma

Con nota prot. n. 903 del 15 ottobre 2009  l’allora Presidente della Commissione Ambiente del Comune di Roma On. Andrea De Priamo ha invitato a tener conto del parere negativo espresso dalla ASL RM/E

Immagine.Nota di De Priamo

Nel corso della Conferenza dei Servizi tenuta il 16 ottobre 2009 non è stato tenuto nel dovuto conto né il parere negativo della ASL né la nota dell’On. Andrea de Priamo.

In precedenza, il 29 gennaio 2009 il Comitato di Quartiere di Case Rosse ed il Comitato di Quartiere di Settecamini avevano chiesto a tutte le autorità competenti di adottare, in alternativa al diniego dell’AIA, “di adottare una nuova tecnologia disponibile (art. 8 DLgs. 59/2005) che sostituisca in toto il processo di combustione dei catalizzatori esausti.

Immagine.Aqua Critox.1

Immagine.Aqua Critox.2

Immagine.Aqua Critox.3

Immagine.Aqua Critox.4

Anche di questa nuova tecnologia non è stato tenuto alcun conto nella Conferenza dei Servizi del 16 ottobre 2009, ndr.]

Come si può autorizzare un inceneritore privato a poche decine di metri dalle abitazioni e come abbia fatto la Provincia a rilasciare l’autorizzazione integrata ambientale affinché tale inceneritore potesse funzionare? 

È una tortuosa vicenda di permessi pubblici “provvisori” per smaltire rifiuti speciali e di perenni emergenze ambientali legate all’attività dell’azienda che estrae platino dai catalizzatori e brucia metalli pesanti nella Tiburtina Valley, alle porte della capitale. 

Non basterebbe un volume di almeno un migliaio di pagine per ripercorrere la vicenda della Basf in via di Salone a Roma, l’unica industria pesante nella zona del Polo Tecnologico Tiburtino, ma non l’unica fonte di inquinamento e di pericolo per la cittadinanza: proprio tra le borgate di Case rosse, Setteville e Settecamini e vicino allo stabilimento della divisione italiana della multinazionale tedesca si trovano altri impianti come la “Mit Nucleare” che trasporta merci pericolose, e il campo-ghetto rom. 

Lo stabilimento della Engelhard nasce nel 1956 e viene chiamato la “fabbrica dell’oro”: si pensava che fosse un’ industria galvanica. 

All’epoca era presente un unico insediamento abitativo, cioè la borgata di Settecamini, distante circa 1500 metri dall’impianto. 

Sono gli anni del boom economico e la produzione di merci esplode, ma mancano norme per lo smaltimento dei rifiuti. 

Producendo di più si accumulano anche più scarti, e si esauriscono i “catalizzatori chimici”, che non sono solo quelli che si trovano nelle marmitte delle automobili ma sono anche strumenti utilizzati dalle industrie che producono i diversi beni di consumo, in particolare quelle farmaceutiche e petrolchimiche. 

Per questo la multinazionale americana (che faceva lo stesso lavoro che fa attualmente la Basf, la multinazionale tedesca), oltre a produrre i “catalizzatori chimici” e a stipulare contratti per riavere indietro i catalizzatori, una volta esausti li prende di nuovo, poi li tratta recuperandone i metalli preziosi e bruciando gli scarti. 

Nel 1982 e nel 1988, vengono emanati due decreti del Presidente della Repubblica in materia di rifiuti, alcune norme vengono introdotte e altre cambiano: i catalizzatori esausti sono dei rifiuti speciali tossici e nocivi (secondo la definizione della legislazione allora vigente mentre oggi alcuni di quei rifiuti, cioè quelli contrassegnati da un apposito asterisco nell’elenco che comprende tutte le famiglie di rifiuti, possono essere definiti “pericolosi”) ma, nel caso della Engelhard, sono considerati una semplice risorsa dell’intero “ciclo di produzione”. 

Nel 1993 arriva la prima autorizzazione “provvisoria” (sarebbe dovuta durare sei mesi) della regione Lazio che dava l’autorizzazione a smaltire, stoccare, trattare e recuperare i catalizzatori.

Fino al 1996, scaduti ampiamente i sei mesi dell’autorizzazione del ‘93, i cittadini hanno più volte chiesto di sapere quali autorizzazioni siano state date all’industria pesante, ma non c’è stata risposta. 

A febbraio del ’96 la Engelhard richiede l’ “autorizzazione sindacale per attività insalubre”. 

Nella domanda si parla della produzione di catalizzatori ma non si parla di rifiuti pericolosi e della presenza di quello che, di fatto è un inceneritore che smaltisce e fonde a elevate temperature metalli pesanti. 

A marzo del ‘96, un mese dopo la richiesta della Basf, il Comune e l’Asl danno l’autorizzazione e classificano lo stabilimento come una “industria insalubre di prima classe” e per questo non potrebbero esserci insediamenti nelle vicinanze (e a circa 300 m dello stabilimento è stato costruito perfino un asilo nido. 

Nel Febbraio del ’98 un decreto ministeriale stabilisce che i catalizzatori possono essere definiti rifiuti “non pericolosi”, a patto che siano trattati debitamente per “disattivarli”… 

Nel 2000 l’azienda viene iscritta dalla Provincia nel registro delle imprese che trattano rifiuti, e deve comunicare informazioni sulla tipologia e sulla provenienza dei rifiuti e delle attività svolte, come previsto dal decreto succitato: se non fossero state rispettate tutte le regole stabilite nell’atto, la Provincia avrebbe dovuto bloccare l’attività. 

L’azienda ammetterà solo successivamente di aver trattato anche materiali “tossico-nocivi” (secondo l’attuale legislazione possono rientrare tra i cosiddetti “pericolosi”) e i comitati in varie occasioni, come nel loro ricorso al Presidente della Repubblica contro una precedente autorizzazione della Provincia (a maggio del 2010), hanno depositato diverse denunce sulla tipologia e sulla maniera in cui questi materiali venivano trattati. 

Nel 1999 avviene un primo incidente nello stabilimento: si guasta un contenitore di acidi; l’anno successivo scoppia un incendio. 

Nel 2000 la vicenda sbarca in Parlamento, ma invano. 

Le autorizzazioni “provvisorie” continuano a essere rinnovate in deroga alle normative di protezione sanitaria e ambientale. 

E anche le emergenze, che dovrebbero essere un evento straordinario, si protraggono per decenni. 

Infatti a marzo del 2002 il vice-commissario delegato all’emergenza rifiuti, Marco Verzaschi (un ex democristiano passato da Forza Italia all’UDEUR e dimessosi da tutti i suoi incarichi tre giorni prima di essere arrestato per un’inchiesta sull’ASL di Roma) firma un documento che permetterà alla Engelhard la continuazione delle sue attività modificando, dove necessario, gli impianti per le diverse tipologie di rifiuto. 

Nell’ottobre 2002 gli abitanti della zona vengono a sapere che quella vicina a casa loro non è l’innocua fabbrica dell’oro ma uno stabilimento che smaltisce rifiuti speciali appena regolarizzato dalla Regione nell’ambito della cosiddetta “emergenza”. 

Nel 2003 arriva anche una prima analisi epidemiologica dell’Asl: vengono studiate le malattie che hanno colpito la popolazione nella zona e si scopre che alcuni tipi di tumori potrebbero essere collegati con l’inquinamento dell’impianto, in quanto in quella zona risultano più frequenti della media capitolina. 

Poi nel pomeriggio del 9 febbraio 2004 arriva “il botto”, poi le sirene e poi il fumo denso che esce dall’impianto. 

Un forno si è surriscaldato ed è scoppiato. 

Il 14 maggio 2006 stavano terminando i primi cinque anni dell’amministrazione Veltroni. Quel giorno, in piena campagna elettorale, esce un articolo in prima pagina sul quotidiano “La Repubblica” che titolava: “Tiburtina Valley, via il colosso USA”, con riferimento alla Engelhard. 

Il volantino e il quotidiano si riferiscono a un protocollo firmato tra la Engelhard e l’ex assessore all’urbanistica Morassut che prevedeva la delocalizzazione dell’impianto in cambio della concessione a costruire sul terreno della fabbrica 50 mila metri cubi di palazzine e uffici. 

A fine mese di quell’anno Veltroni è per la seconda volta sindaco di Roma. 

Nei mesi successivi la Basf rileva l’attività dell’Engelhard Internazionale: deciderà che da quel posto non ha intenzione di spostarsi e nemmeno di dare seguito al protocollo d’intesa firmato con il riconfermato assessore all’urbanistica (ex Ds e attualmente deputato del Pd). 

Dopo quella del 2002 firmata da Verzaschi, sono seguite uno dietro l’altra fino al 2009 le proroghe fuorilegge della Regione, prima della AIA concessa dalla Provincia nel 2009 con il parere favorevole del comune di Roma. 

È infatti con questa autorizzazione che la divisione italiana della multinazionale ex-farmaceutica, le cui radici storiche sono intrecciate al nazismo e al fascismo (originariamente la Basf produceva il pesticida usato nelle camere a gas), continua le sue attività “insalubri” in un centro abitato. 

Centro, destra e sinistra: nessuna differenza. 

Alla multinazionale nessun politicante mette i bastoni tra le ruote, né il sindaco Veltroni e né il sindaco Alemanno. 

Alla luce dei fatti, evidentemente, la casta politica se ne frega della salute della gente comune.

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Immagine.BASF Primastampa

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(omniroma.it)

Il 19 maggio 2014 è stato posto sotto sequestro preventivo il laghetto per la pesca sportivo limitrofo allo stabilimento Basf di via di Salone a causa dell’inquinamento delle acque.

 Immagine.Laghetto BASF.1

I sigilli sono stati apposti dagli agenti del gruppo di Sicurezza pubblica emergenziale della Polizia Municipale di Roma e dalla Polizia Provinciale, gli stessi che nei giorni scorsi avevano prelevato documentazione nello stesso stabilimento nell’ambito di un’inchiesta sullo stato di inquinamento dei terreni e delle falde acquifere.

L’indagine vede anche indagati due dirigenti, legali rappresentati della Basf Italia, per aver “al fine di profitto, con attività continuativa e organizzata – si legge nel capo d’imputazione – gestito ingenti quantitativi di rifiuti mediante illecita attribuzione di codici Cer (Catalogo europeo dei rifiuti) in uscita dall’impianto al fine di consentirne lo smaltimento in assenza di autorizzazione specifica“, nonché per aver “contaminato terreni e falde acquifere circostanti e sottostanti l’area interessata dallo stabilimento” ed aver “aperto un nuovo scarico discontinuo di acque reflue industriali senza autorizzazione e, segnatamente, per aver realizzato una cosiddetta isola ecologica, ossia un’area di deposito temporanea provvista di copertura in cui era presente un pozzetto grigliato di scarico munito di tubazione di scarico ai cui terminali erano applicate delle valvole di scarico aperte“.

Il sequestro è stato disposto dal gip Roberto Saulino, secondo il quale “sussiste concreto e fondato pericolo che la libera disponibilità dell’isola ecologica da parte degli indagati possa aggravare e protrarre le conseguenze del reato contestato, consentendo la prosecuzione dell’incontrollato scolo dei reflui dai rifiuti stoccati“.

Le analisi dell’Arpa Lazio hanno infatti “evidenziato la presenza e il superamento dei valori limite consentiti per le seguenti sostanze inquinanti: tricloroetano, tribrometano, dibromoclorometano, bromoclorometano, nichel, tetracloroetano, tetracloroetilene, arsenico, dicloroetilene, tricloroetilene“.

Immagine.Assemblea Pubblica sulla BASF

Il giudice inoltre evidenzia come “alcuni parametri di inquinanti risultano essere stati ripetutamente individuati ad esito di analisi eseguite in tempi diversi, su campionamenti delle acqua sotterranee e delle acque reflue industriali. Tutto ciò varrebbe a confermare la tesi investigativa, incentrata sulla prospettazione della altamente verosimile sussistenza di un nesso di derivazione tra le attività industriali svolte dalla Basf e l’inquinamento delle falde acquifere, come emergente ad esito delle recenti verifiche di Arpa Lazio“.

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Il sig. Paolo Cartasso che da sempre si è battuto e sta ancora combattendo contro l’inquinamento della intera zona in questione della Tiburtina ha redatto il seguente quadro sintetico/esplicativo delle emissioni BASF.

   Immagine.Quadro emissioni BASF.1

Immagine.Quadro emissioni BASF.2

Dott. Arch. Rodolfo Bosi

 

 

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