Oceani e mutamenti climatici

Per la sua attualità riportiamo l’editoriale di Giorgio Nebbia pubblicato sul “La Gazzetta del Mezzogiorno” di martedì 4 aprile 2006.

Immagine.Giorgio nebbia

Cinquant’anni fa, quando si osservavano delle bizzarrie del clima, si diceva che era colpa delle bombe atomiche (e non era vero; ben altre erano le colpe delle bombe atomiche); adesso si dice che è colpa dell’”effetto serra” e questo è vero. 

L’aumento della concentrazione di alcuni gas (soprattutto anidride carbonica, ma anche metano e altri) nell’atmosfera del pianeta (come si è ricordato molte volte anche in queste pagine) fa sì che ogni anno una maggiore, anche se piccola, frazione dell’energia solare in arrivo sulla Terra resti intrappolata nell’atmosfera (come avviene nelle serre) e faccia aumentare la temperatura dell’atmosfera stessa e quindi delle terre emerse e dei mari. 

Il fenomeno dovrebbe indurre a diminuire l’immissione nell’atmosfera dell’anidride carbonica, che a sua volta deriva dal consumo di carbone, petrolio e gas naturale, e questo disturba i potenti interessi economici di chi invece vuole che aumentino i consumi di questi combustibili fossili; al punto che molti “studiosi” sono indotti a mettere in dubbio l’esistenza stessa dell’effetto serra e di mutamenti climatici significativi. 

Il più importante sottoprodotto del dibattito è l’approfondimento delle conoscenze sulla circolazione del calore fra atmosfera, terre emerse e oceani. 

Gli oceani occupano il 70 % della superficie del pianeta ed hanno un volume di circa 1400 milioni di chilometri cubi mentre tutte le terre emerse hanno un volume di circa 100 milioni di chilometri cubi e l’atmosfera ha un volume di circa 5000 milioni di chilometri cubi.

 A noi, che abitiamo sulle terre emerse, interessa quello che succede sui continenti che stanno fermi e rappresentano una piccola massa rispetto a quelle dell’atmosfera e degli oceani che sono invece in continuo movimento e determinano, quindi, la temperatura, le piogge, la siccità, dei continenti stessi. 

Gli oceani, che hanno il ruolo principale ai fini del clima, hanno temperatura diversa nelle varie zone del pianeta e anche diversa salinità; il contenuto medio di sali degli oceani è di 35 chilogrammi per metro cubo, ma la salinità varia da luogo a luogo e aumenta nelle zone in cui è più intensa l’evaporazione superficiale; salinità e temperatura variano anche a seconda della profondità dei mari (che varia da mille a diecimila metri); per semplici leggi fisiche, le acque oceaniche a diversa temperatura e salinità cercano di miscelarsi in modo da raggiungere temperatura e salinità omogenee e a tal fine si muovono, talvolta con effetti benefici. Le acque relativamente “più calde” della zona centrale dell’oceano Atlantico scivolano (è la “corrente del Golfo”) verso l’Europa settentrionale rendendone meno freddo il clima. 

Si muovono non solo le acque oceaniche superficiali ma anche quelle fredde profonde. 

Provate a guardare gli oceani su un mappamondo (non sulle carte geografiche abituali, nelle quali la superficie della Terra sferica è rappresentata distesa su un piano, carte che deformano tutto, ma su un vero mappamondo sferico, che ogni papà farebbe bene a regalare ai figli quando cominciano ad andare a scuola) e ad immaginare l’esistenza di una specie di gigantesco nastro trasportatore di acque più o meno saline, più o meno calde, da un oceano all’altro. 

Le acque marine più calde e meno saline viaggiano, in superficie, dall’Oceano Pacifico – dal Giappone alle coste della California, poi giù, a nord dell’Australia, poi al di sotto dell’Africa, poi lungo l’Atlantico, da sud a nord – fino all’Europa settentrionale. 

Nello stesso tempo dai mari del Nord parte una corrente di acque che percorrono, in profondità, l’Oceano Atlantico, questa volta da nord a sud, passano sotto l’Australia, vicino ai ghiacci del Polo Sud, fino all’Oceano Pacifico settentrionale, dove le acque profonde si miscelano con le acque oceaniche superficiali, scaldate dal calore solare e da qui riparte la corrente superficiale di acque calde e meno saline, di cui si parlava prima.

L’effetto serra, che fa aumentare la temperatura media superficiale dell’intera Terra (per ora meno di un grado al decennio, che è però tantissimo) provoca la fusione di parte dei ghiacciai artico e antartico la cui acqua dolce, priva di sali, fa diminuire la salinità delle acque oceaniche nelle vicinanze dei poli e influenza e altera il movimento delle acque oceaniche superficiali e sotterranee. 

Wallace Broecker e i suoi colleghi della Columbia University di New York hanno messo in evidenza, mediante modelli matematici, che, in seguito all’alterazione della circolazione delle acque oceaniche superficiali e profonde provocata dall’effetto serra, il clima dei continenti dei due emisferi tende a cambiare con effetti contrapposti: quando l’emisfero nord (Europa, Nord America, Russia, Cina) è più caldo, l’emisfero sud (Sud America, Africa, Australia) è più freddo e viceversa: l’Europa andrebbe incontro a climi più caldi e a un lento processo di avanzata delle zone aride. 

Immagine.Wallace Broecker

Wallace Broecker

Una cosa è certa: da questo inizio del ventunesimo secolo occorre tradurre le indicazioni dei modelli matematici del clima in azioni e decisioni politiche relative all’uso delle fonti di energia e alla produzione di merci. 

Per questo occorrerebbe una maggiore diffusione nelle scuole (e anche nei partiti) della conoscenza dei meccanismi di “funzionamento” del clima e degli oceani, le grandi “macchine” da cui dipende il benessere dell’intero pianeta e l’economia dei suoi abitanti umani, delle loro città, dei campi e delle attività costiere.

 

 

 

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