Clima: ultima notte di negoziati, a Parigi attesa a breve la bozza finale

 

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Dopo una notte di negoziati è stata messa a punto una bozza finale per un accordo globale per la lotta contro i cambiamenti climatici e sarà presentata dal ministro degli esteri francese Laurent Fabius alle 11.30 alle 195 delegazioni che partecipano alla conferenza di Parigi.

Lo riferiscono diversi media francesi.

È difficile dire quali saranno le decisioni finali. L’accordo ci sarà e sarà buono – ha detto il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti – Ma anche se facessimo il miglior accordo possibile ma non avessimo un sistema di monitoraggio negli anni non servirebbe a niente“.

Il lavoro è intenso e prolungato, tra consultazioni interne, bilaterali e riunioni per provare a fare il punto.

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Per alcuni, spiegano dalla delegazione italiana, fare le ore piccole è una strategia specifica, che gioca sulla speranza di cogliere l’altro “un po’ meno sulla difensiva” per stanchezza e voglia di concludere. I Paesi additati come ‘ostacoli’ restano Cina, India, Arabia Saudita.

Ma anche ai Paesi avanzati dell’Ue e del ‘gruppo-ombrello’ (che include tra gli altri Usa, Canada, Giappone e Australia) alcuni osservatori delle Ong imputano un atteggiamento troppo rigido, e un “gioco pesante” sul fronte dei finanziamenti.

Mentre sulla scena emergono una serie di attori inediti e determinati – come Nigeria, Grenada o l’arcipelago polinesiano di Palau – scesi in campo per difendere “passaggi chiave” dell’accordo sulla tutela delle aree vulnerabili.

La diplomazia dei negoziati passa anche dal telefono, prima di tutto quello della Casa Bianca, con Obama che ha parlato con il presidente cinese Xi Jinping per ribadire l’importanza di un accordo.

E dai gesti a margine, come il gran mazzo di fiori inviato dalla delegazione indiana a Kerry, che ieri ha compiuto gli anni, un po’ calumet della pace un po’ mossa mediatica.

In questo complesso scenario, su alcuni temi si cominciano a trovare formule che accontentano un po’ tutti.

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Ma su altri si avanza a rilento, se non si sta fermi.

Tra questi ultimi spicca la delicata questione dei ‘loss and damages’, il supporto ai paesi vulnerabili per affrontare i cambiamenti “permanenti e irreversibili“, su cui si moltiplicano le bilaterali, ma fino a ieri pomeriggio non c’era ancora stato un vero confronto.

Le posizioni restano distanti e ferme, in particolare da parte degli Usa, che rifiutano ogni riferimento a concetti come ‘compensazione’ e ‘responsabilità’.

Nel frattempo, la comunità scientifica comincia a sollevare qualche dubbio su alcune parti dell’accordo già condivise.

In particolare, secondo il direttore dello Stockholm resilience center Johan Rockstrom, preoccupa l’incoerenza fra soglia fissata per il riscaldamento, “ben sotto i 2 gradi“, e traiettoria reale verso cui portano gli attuali impegni nazionali, più vicina ai 3.

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I 2 gradi devono essere un limite biofisico non negoziabile, e tutti gli altri obiettivi devono derivare coerentemente da quello – spiega – Non dev’essere un’aspirazione politica che non si traduce in niente di concreto per mancanza di impegni conseguenti“.

Per questo, diventa cruciale che ci sia “un processo solido di revisione” dei contributi nazionali e di monitoraggio dell’implementazione.

Critiche sono arrivate anche al percorso verso l’azzeramento delle emissioni, per cui il testo fissa un orizzonte “nella seconda metà del secolo“, ma non stabilisce passaggi né scadenze precise.

Per restare sotto 1,5 gradi nel 2100 ci vorrebbe un picco delle emissioni al 2020”, dice Steffen Kallbekken, direttore del Centro per le ricerche climatiche e ambientali di Oslo (Cicero), sottolineando che “con un riscaldamento di 2 o 3 gradi potrebbero innescarsi meccanismi imprevedibili, quindi è altamente irresponsabile prendere questo rischio“.

 

(ANSA del 12 dicembre 2015, ore 08:58)

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