di aa.vv.* Nelle ultime settimane, mentre l’Istat pubblicava le proiezioni al ribasso del Pil italiano, diversi media lanciavano l’allarme della stagnazione, e alcuni – più o meno consapevolmente in errore – si riferivano allo spettro della decrescita. Eppure, con beffardo tempismo, proprio in quei giorni si stava concludendo con successo a Budapest la Quinta Conferenza Internazionale sulla Decrescita per la Sostenibilità Ecologica e l’Equità Sociale, un evento che speriamo possa fornire lo spunto per chiarire e riflettere sul significato della parola “decrescita”, tanto discussa all’estero quanto troppo spesso fraintesa e bistrattata in Italia. Dalla Francia alla Catalogna, dalla Germania agli Stati Uniti, dal Canada all’India, chi parla di decrescita – né “felice” né “infelice” – invoca non il contrario della crescita del prodotto interno lordo, bensì un approccio completamente alternativo al dogma della crescita-ad-ogni-costo. Quella di Budapest è stata la quinta edizione di un ciclo di conferenze che dal 2008, dopo Parigi, Barcellona, Venezia, Montreal e Lipsia, offrono il contesto adatto per discutere e scambiare risultati scientifici ma anche “buone pratiche” all’interno di un movimento sociale-accademico che non smette di crescere. Dal 30 agosto al 3 settembre, a Budapest sono affluiti oltre seicento tra accademici e attivisti provenienti da tutti i continenti, mentre in città in migliaia stavano animando la prima “Settimana della decrescita” per le strade, negli spazi sociali, culturali e di economia sociale che a Budapest hanno dato vita a una serie di esperienze umane e politiche basate sul vivere la società in un modo altro, al di fuori della logica del profitto. Perché uscendo dalla nostra penisola il concetto di decrescita è piuttosto e innanzitutto una proposta politica per affrontare le sfide dei cambiamenti climatici e della giustizia sociale e ambientale, ben diversa quindi da quell’attitudine più o meno naif con la quale viene spesso liquidata […]