“Ciò che è veramente inquietante non è che il mondo si trasformi in un completo dominio della tecnica. Di gran lunga più inquietante è che l’uomo non è affatto preparato a questo radicale mutamento del mondo. Di gran lunga più inquietante è che non siamo ancora capaci di raggiungere, attraverso un pensiero meditante, un confronto adeguato con ciò che sta realmente emergendo nella nostra epoca”. M. HEIDEGGER, L’abbandono(1959), p. 36 Noi non pensiamo ancora in modo abbastanza decisivo, anzi forse ormai non pensiamo proprio più a ciò che dovrebbe essere l’essenza, il nucleo costitutivo dell’agire o più semplicemente del fare. Ho sentito spesso un imprenditore sostenere che l’importante è fare, non perdiamo tempo a pensare, sono frasi che la televisione, ma anche i social media propagandano massivamente ogni giorno. Ecco: questa è la deriva contemporanea di ciò che già Heidegger definiva l’essenza dell’agire. Oggi si ritiene che il fare sia solo il produrre degli effetti, i più immediati possibili, la cui realtà viene valutata in base alla loro utilità. Possiamo dire purtroppo, che tutto oggi, dall’economico al politico, si muove in questa direzione, ma non è così, la verità è o meglio dovrebbe essere un’altra. Questo è uno scacco troppo forte al pensiero speculativo, al pensiero che dovrebbe determinare le azioni e il fare stesso. L’essenza del fare, dell’agire, come già sapevano i Greci, non è negli effetti prodotti, ma si manifesta nel “portare a compimento”, ovvero, sviluppare qualcosa nella pienezza della sua essenza. Allora, accompagnare in questo percorso la pienezza del pensare, significa producere: produrre, ovvero generare, creare dal latino producere, gignere, ferre o dal greco γεννᾶν, φύειν. Allora a questi imprenditori “innovativi”, a questi sedicenti “uomini del fare”, bisognerebbe ricordare che l’agire per l’agire è l’anticamera di un devastante deserto di miseria pratica, di azioni […]