Addio al nucleare. Parte l’attacco ai reattori di Trino e Garigliano

 

VIENNA – Con parecchio ritardo, ma siamo arrivati al nocciolo.

Il progetto di apertura di due vessel [nella tecnica degli impianti elettronucleari, è il recipiente in pressione che contiene il nocciolo di un reattore nucleare e altri componenti interni, ndr.] nelle ex centrali di Trino e del Garigliano ha superato ieri l’esame dall’Aiea, organo delle Nazioni Unite per la sicurezza nucleare.

Trino fu fermata nel 1987 e Garigliano addirittura nel 1980, quando il terremoto dell’Irpinia ne rese non sicuro l’utilizzo.

E’ la prima volta che la Sogin, la spa del Tesoro incaricata della demolizione e della tenuta in sicurezza del nostro parco nucleare, arriva ad attaccare il cuore di una centrale, un’operazione non particolarmente costosa (175 milioni per entrambi gli interventi) ma molto delicata e lunga (9-10 anni).

Il via libera dell’Aiea è solamente tecnico, quello operativo deve arrivare dall’Autorità di controllo sul nucleare, la neonata Isin (è operativa dal primo agosto) è questo potrebbe essere l’ennesimo vincolo che per Sogin che negli ultimi 20 anni è ricordata più per gli scandali i ritardi e le faide politiche che per i risultati raggiunti.

Anche se il presidente Marco Ricotti e l’ad Luca Desiata rivendicano un miglioramento in termini operativi e di lotta agli sprechi durante il loro mandato che si chiuderà l’anno prossimo.

Il nodo autorizzazioni.

Proprio l’Aiea ha segnalato che il rafforzamento dell’Isin è uno dei punti critici del sistema nucleare italiano.

L’Isin è stata scorporata dall’Ispra, da agosto ha una dotazione finanziaria propria (3,8 milioni l’anno dalle bollette elettriche) e una nuova governance, ma è formata da 50 persone, di cui solo 15 tecnici dedicati al nucleare.

Dovrebbe rafforzarsi ma, ironie della burocrazia, l’ente autorizzatore non è stato autorizzato dalla Funzione pubblica a fare i concorsi.

Così, come fonti dell’Isin stessa hanno specificato a Vienna, Sogin potrà realmente partire a fine mese, ma sulla velocità delle autorizzazioni successive non ci sono garanzie.

Cosa accadrà.

Nei vessel ci sono ancora i “resti” del reattore che garantiva la fissione nucleare, quindi molti elementi sono radioattivi.

Per evitare contaminazioni i locali del reattore saranno allagati e poi le varie parti metalliche saranno tagliate direttamente sott’acqua.

Scoperchiati, i due noccioli, dovranno essere svuotati dalle barre che un tempo contenevano il combustibile nucleare, anch’esse tagliate i pezzi più piccoli, e infine anche il contenitore metallico sarà ridotto a pezzi.

Tra le varie difficoltà c’è anche quella che il reattori VE.Ga 19 DI Garigliano e il Ve.Tri. di Trino appartengono a due tecnologie completamente diverse quindi con notevoli incognite operative.

Deposito nel Limbo e l’Infrazione Ue.

I vari rifiuti radioattivi, saranno isolati ma rimarranno all’interno dei siti.

Tra dieci anni, quando lo smantellamento dovrebbe essere completato, in teoria dovrebbe essere pronto il deposito nazionale dei rifiuti.

In realtà è tutto fermo.

La carta dei siti potenzialmente idonei – spiega l’ad Desiata – è stata aggiornata ad aprile scorso e Sogin è in attesa del nulla osta alla pubblicazione da parte del governo, non abbiamo altre indicazioni“.

In campagna elettorale il ministro Carlo Calenda sembrava sul punto di dare il via libera alla pubblicazione.

Con il nuovo governo, il ministro dell’Ambiente Sergio Costa aveva chiesto un aggiornamento a Sogin, ma poi non ha preso una decisione in merito.

La mancanza di una data certa per il deposito è uno dei motivi per cui l’Italia è sotto procedura d’infrazione da parte Bruxelles proprio per non aver illustrato un programma di gestione dei rifiuti.

La data di completamento del deposito resta il 2025 – ha precisato Desiata – potremmo ancora farcela se la procedura di assegnazione si concludesse nei prossimi due anni”.

Rinvio anche per primo traguardo concreto che l’attuale vertice voleva tagliare: la chiusura del sito di Bosco Marengo, promesso per il 2018, non arriverà prima dell’anno prossimo.

Ritardi e costi.

Ogni anno di ritardo significa costi in più per gli italiani che pagano in bolletta tutti i lavori di Sogin.

II conto complessivo, aggiornato l’ultima volta nel 2017, si attesta 7,2 miliardi di cui 3,6 già spesi, ma va specificato che l’avanzamento dei lavori (demolizioni e chiusura dei siti) non è al 50%, ma poco sotto il 30%.

Per migliorare l’efficienza Sogin ha ridotto il personale dell’8% in due anni e mezzo e punta a chiudere il 2018 con il miglior risultato del decennio (92 milioni sui lavori di decommissioning).

Ma per rispettare i piani quest’ultimo dovrebbe nei prossimi 20 anni procedere a ritmo doppio rispetto alle performance abituali.

Su alcuni lavori complessi – è l’idea dell’ad – si potrebbe pensare ad una deroga almeno parziale dal codice degli appalti, anche con la supervisione dell’ANAC. Ora per una gara servono anche 2 anni“.
Dal nucleare al circolare.

Desiata a Vienna ha anche annunciato il prossimo progetto con cui chiederà la consulenza degli esperti Aiea: rendere riutilizzabili gran parte del cemento e dei rottami di metallo derivanti dalle demolizioni (ovviamente la parte non contaminata) in un meccanismo di economia circolare: “l’ulteriore obiettivo è quello del azzerare l’impronta di CO2 di Sogin, le faremo attraverso l’efficienza energetica e la riforestazione dei siti intorno agli impianti“.

 

(Articolo di Luca Iezzi, pubblicato con questo titolo il 17  settembre 2018 sul sito online del quotidiano “la Repubblica”)

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