Rapporto Ipcc: «Gli anni più importanti della storia». Le prime reazioni

 

Il giudizio di Greenpeace international sull’approvazione a Incheon del Rapporto speciale dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) è positivo perché ha rivelato «il compito massiccio e urgente che ci attende di limitare il riscaldamento globale fornendo anche un chiaro programma per raggiungerlo» e perché «dimostra che le emissioni globali di CO2 devono essere dimezzate entro il 2030 prima di scendere allo zero netto al più tardi entro la metà del secolo. 

Se continuasse ai  tassi attuali, il riscaldamento globale dovrebbe superare  gli 1,5 gradi tra il 2030 e il 2052, rafforzando l’urgenza dei tagli delle emissioni».

Greenpeace evidenzia che «nel 2050 le energie rinnovabili forniranno il 70-85% dell’elettricità, con tendenze che mostrano un potenziale ancora più elevato. 

Il rapporto rileva che il sostanziale miglioramento delle tecnologie di stoccaggio di energia solare, eolica e elettrica potrebbe essere il segno che è già iniziata una transizione di sistema.

Anche l’uso di petrolio e gas dovrà diminuire rapidamente. 

Un percorso che non si basi sulle tecnologie per la rimozione di CO2 vedrebbe il petrolio diminuire del 37% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2010.

Le soluzioni climatiche naturali come la protezione delle foreste e il rimboschimento hanno il potenziale per  fornire oltre un terzo della mitigazione della CO2 economicamente efficace necessaria fino al 2030 per un obiettivo di 2 gradi, con un potenziale elevato anche per gli  1,5 gradi».

Secondo Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, il rapporto Ipcc «dimostra che molte delle disastrose conseguenze dei cambiamenti climatici in corso possono essere evitate se si rispetta la soglia critica di 1,5 gradi centigradi.

Si tratta di un obiettivo ambizioso che siamo, però, ancora in grado di raggiungere.

Ma serve una rapida e profonda riconversione di tutti i settori dell’economia globale.

Domani i ministri europei dell’ambiente si riuniranno a Bruxelles e, insieme a tante altre associazioni europee, abbiamo chiesto loro di dare concreta attuazione a questa speranza.

L’Italia può e deve avere un ruolo da protagonista in Europa non solo per tradurre in realtà la promessa di Parigi, ma soprattutto per accelerare la transizione, fondata su efficienza energetica e rinnovabili, verso la decarbonizzazione dell’economia europea.

Solo così sarà possibile vincere la triplice sfida climatica, economica e sociale, creando nuove opportunità per l’occupazione e la competitività delle imprese italiane ed europee.

E’ evidente che servono impegni di riduzione delle emissioni molto più ambiziosi di quelli sottoscritti a Parigi, ma invertire la rotta è possibile sia dal punto di vista tecnologico che economico.

Ai ministri che si riuniranno domani, a partire da quello italiano, chiediamo per questo di accelerare la transizione verso un’Europa rinnovabile e libera da fonti fossili.

Il Consiglio Ambiente deve pertanto impegnarsi ad aumentare entro il 2020 gli obiettivi europei, in linea con la traiettoria di riduzione delle emissioni compatibile con la soglia critica di 1.5°C, così da poter raggiungere zero emissioni nette entro il 2040 sulla base delle possibilità e responsabilità di leadership globale dell’Europa».

Legambiente ricorda che «decarbonizzare non serve solo a contrastare i cambiamenti climatici, ma produce anche benefici sociali ed economici.

Un’azione climatica in linea con gli obbiettivi di Parigi, secondo il recente rapporto della Commissione Globale su Economia e Clima, può far crescere l’economia mondiale di ben 26.000 miliardi di dollari, creare 65 milioni di nuovi posti di lavoro ed evitare 700.000 morti premature per l’inquinamento atmosferico già entro il 2030.

Un impegno che non solo offre grandi opportunità di sviluppo economico e occupazionale, ma che consente una drastica riduzione dei costi dovuti agli impatti climatici.

Secondo Eurostat, nel 2015 le perdite economiche sono state di ben 11.6 miliardi di euro.

Mentre un recente studio dell’Agenzia europea dell’ambiente stima costi sino a 120 miliardi l’anno con un aumento della temperatura globale di 2°C e addirittura 200 miliardi se si raggiungessero 3°C».

Stephen Cornelius, capo della delegazione del Wwf all’Ipcc, ha dichiarato: «Ci aspettavamo negoziati difficili su questo rapporto e siamo felici che i governi abbiano fatto una ragionevole riflessione fondata su basi scientifiche.

Gli attuali impegni dei Paesi per ridurre le emissioni non sono sufficienti per limitare il riscaldamento globale a 1.5 °C e con la scienza non si può negoziare.

Ogni mezzo grado fa la differenza per le persone e la natura: questa è la realtà sul riscaldamento globale.

Dobbiamo scegliere un’azione climatica più forte e accelerare la transizione verso un’economia a zero carbonio in tutti i settori: quello energetico, dei trasporti e alimentare.

Senza rapidi e profondi tagli alle emissioni di anidride carbonica, ci troveremo davanti a impatti più gravi per gli ecosistemi: dalle barriere coralline ai ghiacciai del mare Artico e molte più specie animali a rischio».

Mariagrazia Midulla, responsabile clima ed energia del Wwf Italia aggiunge: «I governi di tutto il mondo devono mostrare di comprendere cosa dicono loro gli scienziati e assumere il cambiamento climatico per quel che è, una questione vitale per l’umanità e per il pianeta come li conosciamo».

«Il tempo dell’ignoranza, vera o presunta, o delle schermaglie, furbizie e distrazioni deve finire, ora. I Governi devono aumentare il livello di ambizioni  dei propri obiettivi e politiche climatiche,  agire in fretta per una rapida e giusta transizione verso economie a basse emissioni di carbonio.

Ritardare l’azione sarebbe troppo costoso, in termini economici e in termini di sofferenza, per essere finanche preso in esame.

La differenza tra il possibile e l’impossibile dipende dalla volontà politica, così come il senso della politica stessa dipende dalla capacità di comprendere la minaccia e assumerla come priorità, insieme a tutti gli altri Paesi».

La frase che ha più colpito i delegati al summit Ipcc in Corea è certamente quella  di Debra Roberts, co-presidente  dell’Ipcc Working Group II, che ha detto che quelli che ci apprestiamo a vivere «sono gli anni più importanti della nostra storia» e il maldiviano Amjad Abdulla, rappresentante dei piccoli Stati insulari, è perfettamente d’accordo: «Non ho dubbi che gli storici guarderanno a queste scoperte come a uno dei momenti decisivi nel corso della storia umana. 

Esorto tutte le nazioni civili ad assumersene la loro responsabilità, aumentando fortemente i nostri sforzi per ridurre le emissioni responsabili della crisi».

Secondo il rapporto Ipccc, per  mezzo miliardo di persone che vivono in Paesi insulari e che, come le Maldive, contano sugli ecosistemi corallini per il cibo e l’economia basata sul turismo, la differenza tra 1,5 ° C e 2 ° C è la differenza tra la perdita del 70-90% delle barriere coralline e la scomparsa delle barriere coralline, entro il 2100.

E non è un caso che siano stati proprio i piccoli Paesi  insulari ha fare in modo che nell’Accordo di Parigi venisse preso in considerazione l’obiettivo degli 1,5° C ed è per questo che Rachel Kyte, la rappresentante speciale per l’energia sostenibile del segretario generale dell’Onu e Nazioni Unite ha elogiato quei governi: «Avevano il senso dell’urgenza e della chiarezza morale. Sapevano che le loro vite sarebbero rimaste in bilico tra 2 e  1.5° C».

Il rapporto Ipcc dice che  con 2° C  la situazione diventerebbe insostenibile in molte aree per l’approvvigionamento idrico e l’agricoltura, l’esposizione degli esseri umani alle ondate di caldo estremo e alle alluvioni, mettendo a rischio povertà centinaia di milioni di persone.

Migliaia di specie vegetali e animali perderebbero più della metà dei loro habitat, le tempeste tropicali devasterebbero con piogge torrenziali Paesi come le Filippine o quelli dei Caraibi.

Ruenna Hayes, delegata di St Kitts e Nevis al summit Ipcc, ha detto a Climate Home News: «Tutti hanno sentito parlare di quello che è successo a Dominica l’anno scorso.

Non posso descrivere il livello di allarme assoluto che questo ha causato non solo in me personalmente, ma in tutti quelli che conosco».

Viste dalle pagine del rapporto Ipcc le polemiche politiche italiane di questi giorni sembrano davvero miserabili: per riuscire ad attuare l’enorme trasformazione che ci aspetta, il mondo dovrà investire ogni anno quasi un trilione di dollari fino al 2050.

Alla fine la Terra sarà trasformata: per stabilizzare il clima, i governi dovranno attuare vasti programmi per assorbire la CO2 dall’aria. 

Le fattorie diventeranno i nuovi giacimenti e la produzione di cibo dovrà fare i conti con scelte difficilissime tra nutrire il mondo e alimentarlo di energia.

Governi, cittadini e imprese dovranno decidere.

Peter Frumhoff, direttore scienza e politica dell’Union of Concerned Scientists  evidenzia che «se questo rapporto non convince tutte le nazioni che la loro prosperità e sicurezza richiede una trasformazione scientifica, cambiamenti tecnologici, politici, sociali ed economici per raggiungere questo obiettivo monumentale di allontanare alcuni dei peggiori impatti dei cambiamenti climatici, non so cosa ci riuscirà.

L’unico modo per evitare di violare il limite dell’1.5° C è che entro il 2030 l’umanità riduca del 45% le sue emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 2010 e raggiunga lo zero netto intorno al 2050.

Ma attualmente le emissioni globali stanno aumentando, non scendendo».

Alcuni degli strumenti necessari per riuscire a vincere questa sfida epocale sono già disponibili, dovrebbero essere solo incrementati. 

Adnan Z Amin, direttore generale dell’International renewable energy agency dice che la loro attuazione «dovrebbe essere 6 volte più veloce di quanto non lo sia oggi. E’ tecnicamente fattibile ed economicamente attraente».

Ma mentre il mondo avrebbe bisogno  di innovazione e cambiamento sociale, dal Brasile, che ospita la più grande foresta pluviale del mondo, arriva la notizia della vittoria di Jair Bolsonaro, che al secondo turno potrebbe diventare presidente e dar vita a un governo di estrema destra e negazionista climatico e che ha già detto che seguirà l’esempio di Donald Trump abbandonando l’Accordo di Parigi.

Insomma, il populismo sovranista e xenofobo che si rivolta contro il popolo e i poveri.

E la delegazione Usa si è subito affrettata a dire che «l’approvazione del riassunto non dovrebbe essere intesa come l’approvazione  da parte degli Stati Uniti di tutti i risultati e i messaggi chiave», mentre l’Arabia Saudita ha cercato di evitare in tutti i modi che venisse approvato un passaggio secondo il quale gli investimenti nell’estrazione di combustibili fossili dovranno diminuire del 60% tra il 2015 e il 2050.

I sauditi si sarebbero dissociati dalle conclusioni del rapporto.

La direttrice esecutiva di Greenpeace International, Jennifer Morgan, ha detto: «Il mondo è in fiamme. 

Per evitare altri di questi tragici incendi, forti tempeste e perdite di vite umane, il mondo dovrà dimezzare le emissioni globali nel prossimo decennio. 

Questa è una grande sfida, ma è fattibile e i costi derivanti dal non seguire la strada giusta sono una questione di vita o di morte per milioni in tutto il mondo, in particolare per i più vulnerabili.

Questo rapporto dell’Ipcc è il rapporto sulla scienza climatica più unico e importante che ci sia mai stato. 

I leader governativi e delle multinazionali non sanno più dove nascondersi e devono dimostrare di comprendere la scienza agendo con l’urgenza che richiede. 

Ma abbiamo tutti un ruolo. 

Ogni persona deve fare tutto ciò che è in suo potere per cambiare rotta e seguire il piano che è compreso nel rapporto dell’Ipcc»,

Kaisa Kosonen, senior policy advisor di Greenpeace Nordic, conclude chiedendosi: «Ce la faremo in tempo? 

Nessuno lo sa. 

Quello verso il quale ci stiamo dirigendo è un territorio inesplorato.

Ora, ciò che conta è che decidiamo di provarci e che ne facciamo la nostra priorità assoluta. 

Solo così avremo la possibilità di proteggerci dagli impatti devastanti che la scienza dice che inizierebbe ad accelerare dopo gli1,5 gradi. 

Chi dice che non è realistico, in effetti ci sta dicendo di rinunciare alla gente, di rinunciare alle specie, di rinunciare al nostro fantastico pianeta. 

Non lo accetteremo. 

Non rinunceremo all’ingegno umano, al coraggio o alla speranza  per l’apatia politica e l’avidità delle multinazionali. 

Non ci arrenderemo mai. 

Siamo determinati ad avere successo».

 

(Articolo pubblicato con questo titolo l’8 ottobre 2018 sul sito online “greenreport.it”)

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