Economia circolare (e non solo) per rendere l’industria pesante Ue a emissioni nette zero

 

All’interno del necessario percorso di decarbonizzazione indicato dall’Accordo di Parigi per contrastare i cambiamenti climatici, l’industria pesante pone seri interrogativi in fatto di sostenibilità: oggi in Europa si registra un consumo procapite di acciaio, sostanze chimiche – plastica compresa – e cemento pari a qualcosa come 800 kg di materiali all’anno, e da sole le industrie siderurgiche, chimiche e cementiere rappresentano circa il 14% della CO2 emessa dell’Europa (nel mondo si arriva al 20%).

Continuare su una linea di business-as-usual non è più accettabile, ma la buona notizia è che esistono diverse strade per raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette entro il 2050 per le industrie europee ad alta intensità energetica, come mostra il nuovo studio Industrial Transformation 2050 – Pathways to Net-Zero Emissions from EU Heavy Industry.

Commissionato dalla European climate foundation e condotto da Material Economics con il supporto di prestigiosi istituti come l’Università di Cambrigde, lo studio mostra come in ogni caso un’economia più circolare rappresenti una parte importante della percorso da intraprendere, in quanto il riciclo dei rifiuti può tradursi in una notevole riduzione delle emissioni nell’industria pesante: attraverso processi industriali più sostenibili si potrebbero ridurre le emissioni di 143-241 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, e in quei casi in cui non tutte le emissioni potranno essere eliminate attraverso l’economia circolare e l’elettrificazione, le tecnologie di cattura e stoccaggio (Ccs) o reimpiego (Ccu) del carbonio potranno ridurre le emissioni di 45-235 Mt di CO2 all’anno.

«La fase in cui l’abbattimento delle emissioni dall’industria era considerato impossibile è finita – commenta al proposito Laurence Tubiana, ceo dell’European climate foundation – I leader del settore stanno guardando a tecnologie e visioni totalmente dirompenti: in settori precedentemente conservatori ora vediamo i front-runner che stanno realmente immaginando diversi modelli e tecnologie di produzione».

In questo contesto, alcuni settori sono più avanti di altri: come si legge nel rapporto, ad esempio, già oggi «le 90 milioni di tonnellate di rottami di acciaio generate in Europa ogni anno valgono circa 20-25 miliardi di euro, e vengono esportati o riciclati nell’Ue per produrre nuovo acciaio».

Altri materiali sono invece molto meno “circolari”, e necessitano di politiche mirate.

«Il riciclaggio della plastica è ancora limitato», sottolinea al proposito il report, e si tratta di investire nel riciclo più che nella sola raccolta differenziata: «I tassi di raccolta nell’Ue sono già elevate, tuttavia meno del 10% dei nuovi prodotti in plastica sono realizzati con plastiche riciclate, mentre il riciclaggio potrebbe sostituire fino a 1/3 della nuova produzione di plastica», e in questo caso le emissioni di CO2 del settore sarebbero ridotte di quasi il 50%.

Anche in questo caso è bene comunque sottolineare che la bacchetta magica non esiste, e anche dal riciclo esiteranno nuovi rifiuti che sarà necessario gestire.

Anche coi più moderni forni elettrici produrre 1 milione di tonnellate d’acciaio significa avere nuovi scarti per 2-300mila tonnellate (non tutte e non sempre riciclabili, da qui la necessità di impianti per lo smaltimento); pure per quanto riguarda la plastica occorre tenere presente che i processi di riciclo, sia che trattino rifiuti da raccolta differenziata che rifiuti speciali, presentano rese (date dal rapporto tra quantità di materiale in entrata nei processi di riciclo e la quantità in uscita), che variano non solo a seconda della frazione merceologica considerata ma anche, per quanto riguarda i soli rifiuti urbani, del grado di qualità della raccolta differenziata.

Come evidenziato dall’ultimo report di Assoambiente, sottoponendo a operazioni di riciclo 100 kg di rifiuti di plastica si mediamente, a livello nazionale, 75-80 kg di plastica riciclata (e 20-25 kg di nuovi rifiuti da gestire).

Assumere questa prospettiva permette di mantenere un approccio realistico all’economia circolare, che potrebbe comunque portare a grandi progressi – entro il 2050 «il 70% dell’acciaio e della plastica potrebbe essere prodotto utilizzando materie prime riciclate», testimonia lo studio – con enormi miglioramenti ambientali ed economici in Europa.

Oggi ad esempio produrre cemento, acciaio e prodotti chimici significa importare dall’estero 8,4 Exajoule di energia all’anno – prevalentemente sotto forma di petrolio, carbone e gas –, una quota che potrebbe ridursi fino a 3,1 EJ all’anno grazie a un’economia più circolare.

Al contempo i costi per i consumatori finali e per l’economia in generale sarebbero modesti di fronte ai benefici acquisibili: «I prezzi di automobili, case e beni imballati aumenterebbero di meno dell’1%», mentre «i costi aggiuntivi per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni sono pari a circa lo 0,2% del Pil dell’UE previsto entro il 2050».

Tuttavia, affinché le imprese possano investire in un futuro sostenibile, rimanere competitive durante la transizione e divenire all’avanguardia di nuove opportunità economiche a livello globale  hanno bisogno di un quadro politico che le sostenga.

«Questo rapporto indica chiaramente che un futuro a zero emissioni di carbonio non è solo possibile per le industrie chiave in Europa, ma è anche realizzabile e conveniente», dichiara Eliot Whittington, dell’Institute forSustainability Leadership dell’Università di Cambridge, ma occorrono soluzioni politiche specifiche di cui l’Ue e gli Stati membri devono tener conto nel delineare la loro strategia industriale: soluzioni che vanno dall’accelerazione della ricerca e dello sviluppo, alla creazione di mercati guida per salvaguardare la competitività dei prodotti a basse emissioni di CO2 e all’aumento degli investimenti, in modo da promuovere un’economia completamente circolare, facilitare l’accoppiamento settoriale e promuovere le infrastrutture necessarie al comparto.

 

(Articolo di Luca Aterini, pubblicato con questo titolo il 26 aprile 2019 sul sito online “greenreport.it”)

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