Sull’olio di palma sostenibile soprattutto promesse. Quando ci sono. A dispetto degli impegni assunti da aziende e coalizioni industriali a favore di una catena di fornitura sostenibile e contro la deforestazione nelle aree tropicali, molte società sono ancora ben lontane dal dimostrare ai propri consumatori di poter adempiere a queste promesse. È il risultato di Palm Oil Buyers Scorecard, la valutazione delle aziende per il loro supporto all’impiego di olio di palma sostenibile che il Wwf ha presentato alla vigilia del World Economic Forum di Davos. La nuova edizione prende in esame 173 principali retailer, produttori di beni di consumo e società di food service in Canada, Stati Uniti, Europa, Australia, Singapore, Indonesia e Malesia. Si va da brand noti come Carrefour, L’Oreal, McDonald’s, Nestlé, Tesco e Walmart, ad altri meno conosciuti. POCHE LE AZIENDE VIRTUOSE Nessuna azienda ha raggiunto il voto più alto nel punteggio stabilito dal Wwf, che ha esaminato le strategie messe in atto dai brand. Il gruppo italiano Ferrero è al primo posto, con 20 punti (su un massimo di 22). A completare l’elenco delle prime 5 aziende delle Scorecard Wwf ci sono Edeka, Kaufland, L’Oréal e IKEA. Deludente anche il punteggio ottenuto dai membri ‘Consumer Goods Forum’, piattaforma industriale di distributori e produttori attraverso la quale le aziende aderenti si sono impegnate per eliminare gli impatti sulla deforestazione delle proprie filiere. Queste realtà sono invece in ritardo rispetto ai loro impegni. Delle 53 aziende CGF analizzate dalle Scorecard del Wwf, solo dieci (Ferrero, Kaufland, L’Oréal, Marks & Spencer, Dm-drogerie markt, The Co-operative Group UK, Rewe Group, Mars, Friesland Campina e Nestlé) hanno mostrato impegni concreti, rientrando nel 20% delle aziende al vertice della classifica. “La performance di questo gruppo ristretto di aziende – spiega il Wwf – tra quelle che si sono poste l’obiettivo di azzerare i propri impatti sulle foreste entro il 2020, dovrebbe essere una regola piuttosto che un’eccezione”. I CRITERI DI VALUTAZIONE Nelle sue analisi il Wwf ha preso in considerazione non solo aspetti basilari quali l’utilizzo di 100% di olio di palma sostenibile […]
Archivi Giornalieri: 19 Gennaio 2020
Enura, la joint venture di Snam e Società Gasdotti Italia (Sgi) per realizzare il metanodotto in Sardegna, in attesa che l’iter delle autorizzazioni si concluda e che dal governo arrivi l’ok definitivo, non perde tempo. Ha già firmato due memorandum d’intesa con Sardinia Lng e Ivi Petrolifera per facilitare l’allacciamento dei rigassificatori da costruire a Cagliari e a Oristano alla struttura di distribuzione che dovrebbe attraversare da nord a sud tutta la regione. Già chiuse anche le intese commerciali con alcune imprese locali per i lavori di posa dei tubi. L’infrastruttura, lunga complessivamente 583 chilometri, sarà suddivisa in un tratto meridionale, da Cagliari a Palmas Arborea (235 km) e in un tratto settentrionale, da Palmas Arborea a Porto Torres e Olbia (348 km), collegato anche a Sassari e Nuoro. Costo complessivo, poco meno di due miliardi. C’è, è vero, l’opposizione del movimento ambientalista sardo, ma Enura tira dritto. «La realizzazione della rete energetica a gas in Sardegna – replica alle critiche l’ufficio comunicazioni della joint venture – porterebbe alla Sardegna rilevanti benefici sia economici sia ambientali, dando un contributo significativo alla transizione energetica e alla competitività dell’economia locale». «Dal punto di vista ambientale – dice Enura – l’impiego del gas naturale consentirà, al contempo, di accelerare la dismissione del carbone per la produzione di energia elettrica e del gasolio per il riscaldamento, di garantire lo sviluppo delle fonti rinnovabili intermittenti e di avviare l’utilizzo di nuove rinnovabili come l’idrogeno prodotto da solare ed eolico e il biometano. Queste ultime potranno svilupparsi solo in presenza di un progetto integrato di rete energetica regionale. Secondo le analisi di Pöyry (una società internazionale di consulenza nei settori dell’energia e delle infrastrutture che ha la sua sede italiana a Milano) in Sardegna, grazie alla realizzazione della rete energetica, si avrà una riduzione di […]
La strada per la metanizzazione della Sardegna, l’unica regione italiana fuori della rete di distribuzione di questa fonte di energia, sembra spianata. Il 20 dicembre al ministero dello Sviluppo economico la conferenza delle Regioni ha dato parere positivo alla versione del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) così come emendata dalle Regioni, Sardegna compresa. E nel testo sono state accolte alcune osservazioni chiave avanzate dalla giunta sarda, sostenuta da una maggioranza di centrodestra (Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Partito sardo d’azione). In particolare, il piano prevede che i depositi di gas sulle coste sarde siano collegati ai centri di stoccaggio nazionali attraverso un regolare servizio di collegamenti marittimi e che dalle coste il gas sia poi distribuito dappertutto nella regione. Come? Qui la questione è ancora aperta. C’È UN PROGETTO DI COSTRUZIONE DI UN GASDOTTO (la cosiddetta “dorsale”) che dovrebbe attraversare da nord a sud tutta la regione. Lo ha presentato Enura, una joint venture di Snam e Società gasdotti Italia. Ma non è detto che la cosa si faccia. Bisognerà aspettare l’esito dello studio, commissionato a luglio da Arera (l’Autorità nazionale per l’energia) alla società di ricerca RSE-E, sul rapporto costi-benefici di tutte le opzioni possibili. Oltre all’ipotesi del metanodotto, poi, c’è la possibilità che il gas dai depositi costieri sia distribuito alle reti locali attraverso autocisterne. Senza contare, infine, che è ancora il campo un progetto radicalmente alternativo a quello del metanodotto, quello che Terna (il gestore della rete di trasmissione italiana in alta tensione, leader nella trasformazione del mercato elettrico verso fonti eco-compatibili) ha presentato per la costruzione di un elettrodotto che dovrebbe partire dalla Sicilia. La consegna del report della RSE-E, verdetto definitivo sulla convenienza del metanodotto, è prevista per aprile. Nel frattempo in Sardegna il dibattito e la polemica crescono. DECISAMENTE […]
I crimini ambientali sono “in preoccupante estensione” poiché coinvolgono “trasversalmente, interessi diversificati” e va ad “interferire sull’ambiente e sull’integrità fisica e psichica delle persone, ledendone la qualità della vita“. Lo scrive la Dia nella Relazione semestrale sottolineando un altro aspetto che emerge dalle indagini: il tentativo delle mafie “di acquisire gli appalti per il servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani” e quelli per le “attività di bonifica dei siti“. La gestione illegale dei rifiuti, dicono gli analisti della Direzione investigativa antimafia, “è purtroppo in costante espansione ed oggi appare ancor più superfluo affermare quanto essa rappresenti uno dei settori di maggiore interessi per le organizzazioni criminali, attratte da profitti esponenziali e di difficile misurazioni“. Ma se questo è possibile non è solo colpa dei mafiosi: “nei reati connessi al traffico illecito dei rifiuti si intrecciano condotte illecite di tutti i soggetti che intervengono nel ciclo, dalla raccolta allo smaltimento: non solo elementi criminali, ma anche imprenditori ed amministratori pubblici privi di scrupoli“. In sostanza, l’illegalità ambientale è un fenomeno che “si alimenta costantemente grazie all’azione famelica di imprenditori spregiudicati, amministratori pubblici privi di scrupoli e soggetti politici in cerca di consenso, nonché di broker, anche a vocazione internazionale, in grado di interloquire ad ogni livello“. Quanto ai tentativi delle cosche di mettere le mani sugli appalti per la raccolta dei rifiuti, “particolarmente aggressivi – dice la Dia – si sono rivelati i tentativi di condizionamento delle procedure di appalto attraverso le intimidazioni in danno di imprese concorrenti, ma anche attraverso accordi e relazioni con esponenti delle istituzioni locali e del mondo imprenditoriale“. Quando, invece, i tentativi si sono realizzati nella fase di esecuzione dei contratti, i clan “hanno imposto alle imprese aggiudicatarie del servizio di raccolta e smaltimento l’assunzione di manodopera, l’affidamento di attività connesse al ciclo dei […]
L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus, su segnalazione di esasperati residenti, ha inviato una specifica istanza di accesso civico, informazioni ambientali e adozione degli opportuni interventi per fermare la caccia nelle Vie Bressan e Vegri, in Comune di Selvazzano Dentro (PD). Coinvolti il Comune di Selvazzano Dentro, i Carabinieri Forestale e il Prefetto di Padova. L’area – terreni agricoli con una vecchia discarica dismessa da decenni ormai in via di rinaturalizzazione – vede la presenza di un canile sanitario pubblico e di diverse residenze rurali. La legge afferma che è vietato “sparare da distanza inferiore a centocinquanta metri con uso di fucile da caccia con canna ad anima liscia, o da distanza corrispondente a meno di una volta e mezza la gittata massima in caso di uso di altre armi, in direzione di immobili, fabbricati e stabili adibiti ad abitazione o a posto di lavoro; di vie di comunicazione ferroviaria e di strade carrozzabili …” (art. 21, comma 1°, lettera f, della legge n. 157/1992 e s.m.i.). rendendo di fatto legittimamente impossibile esercitare l’attività venatoria nella zona. Eppure ci sono cacciatori che si recano proprio lì per cercare di far fuori i pochi esemplari di Volpe (Vulpes vulpes) nonostante le continue rimostranze dei residenti. Purtroppo anche negli anni scorsi ci furono battute di caccia alla Volpe in palese spregio delle norme di rispetto delle distanze da abitazioni e luoghi di lavoro, causando forti proteste ecologiste e portando a un’ordinanza sindacale di divieto di caccia per motivi di sicurezza pubblica (febbraio 2016). Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha chiesto l’adozione di una nuova ordinanza sindacale urgente e contingibile (art. 54 del decreto legislativo n. 267/2000 e s.m.i.) di divieto di caccia e ha segnalato al Prefetto di Padova l’opportunità di analogo provvedimento per ragioni di sicurezza pubblica (art. 2 del regio decreto n. 773/1931 e s.m.i.). Provvedimenti […]