Villani: «Bambini a casa, o sarà impennata dei contagi»

 

Alberto Villani, presidente della società italiana di pediatria e esperto del Comitato tecnico scientifico per la ‘Fase 2’

Nel Comitato Tecnico Scientifico che affianca il governo nelle scelte sulla “fase 2” non ci sono donne.

In compenso la componente degli esperti dell’infanzia è ben rappresentata: in mezzo a epidemiologi, pneumologi e altri specialisti ci sono ben due pediatri di alto livello.

Oltre al presidente del Consiglio Superiore di Sanità Franco Locatelli c’è Alberto Villani, presidente della società italiana di pediatria, che conosce bene l’impatto del COVID-19 tra i più giovani e lo illustra al manifesto.

«I dati italiani e quanto riportato nella letteratura scientifica internazionale hanno confermato che i soggetti in età evolutiva quando si infettano, presentano sintomi meno gravi rispetto ad adulti e anziani» spiega.

«A oggi in Italia abbiamo avuto meno di 3mila casi (in realtà, sono quasi 4mila, ndr), il 7 per cento ha avuto necessità di ricovero ospedaliero e i decessi verificatisi sono stati 2 in soggetti che già presentavano gravi patologie».

Bambini e adolescenti si ammalano meno, ma non è escluso che siano contagiosi come gli adulti una volta tornati in famiglia.

«Le scuole sono considerate da numerosi studi scientifici, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dagli epidemiologi uno dei principali luoghi di diffusione per una malattia pandemica», spiega Villani.

Il pediatra conferma che eventuali piani andranno ricalibrati durante l’estate alla luce delle conoscenze accumulate nel frattempo.

«In Italia le scuole riapriranno a settembre e la modalità di inizio dell’anno scolastico sarà modulata in base a quella che sarà la situazione epidemiologica presente.

Una apposita Commissione di esperti del ministero dell’Istruzione sta studiando diverse opzioni sulla base dei possibili scenari che si dovranno affrontare a settembre».

Il poco che si sa sulla contagiosità dei bambini non permette tra l’altro di capire se anche i bambini siano stati tutelati più di altre categorie dalla chiusura totale delle scuole.

«È probabile che la minore esposizione al contatto con altre persone, come in Cina durante le vacanze del Capodanno cinese, abbia contenuto la diffusione del SARS CoV 2 tra i bambini», secondo Villani.

«Anche in Italia, la chiusura delle scuole e la necessità di stare a casa hanno certamente comportato una ridotta diffusione del coronavirus (SARS CoV 2) tra i bambini».

Rimane un dubbio: il governo ha chiesto agli esperti di prendere in considerazione ben 96 scenari diversi, suddividendo le attività economiche in vari comparti da aprire o chiudere.

Invece la scuola, con 8 milioni di alunni, è stata considerata come un blocco unico, con un impatto cruciale sull’epidemia.

Non si è esaminata la possibilità di riaprire solo le scuole dell’infanzia e le primarie che hanno un impatto maggiore anche sul resto delle attività?

Villani, al quesito forse più importante, non risponde.

Che si tratti di un tema delicato lo si capisce frugando tra i dati della Fondazione Bruno Kessler, il centro di ricerca che ha simulato gli scenari per conto del governo.

Secondo gli esperti, la riapertura delle scuole avrebbe fatto impennare l’indice di riproduzione virale R0: dall’attuale valore di sicurezza 0,7 saremmo arrivati a 1,3-1,4, con una seconda ondata praticamente scontata.

Realisticamente, riavviare solo i cicli inferiori avrebbe fatto ballare pericolosamente l’indice R0 sulla soglia-precipizio 1, riducendo drammaticamente i margini per la riapertura delle altre attività economiche.

E questa scommessa non interessava a nessuno.

 (Articolo di Andrea Capocci,  pubblicato con questo titolo il 5 maggio 2020 sul sito  online del quotidiano “il manifesto”)

 

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