Immuni mi ha detto che sono a rischio, ecco perché è una buona notizia

 

Sabato verso l’ora di pranzo la app Immuni mi ha avvisato: sopra la schermata bianca con i caratteri blu elettrico è comparsa una macchia rossa che occupava la parte alta dello smartphone.

C’era scritto, in caratteri bianchi: “Rilevata esposizione a rischio con una persona COVID-19 positiva“.

E con un carattere più piccolo: “Scopri subito cosa fare“.                               

Sono rimasto intontito un attimo: ho scaricato Immuni appena è stata resa disponibile sugli Store, all’inizio di giugno, e mi ero quasi dimenticato di averla.

Nessun segno di vita.

Cos’era questo avviso?

Ero positivo?

No, questo lo sapevo, non basta un contatto a contagiarsi.

E poi quale contatto?

Con chi?

Ho cliccato sul link e sono stato informato che il contatto risaliva al 18 settembre, una vita fa.

Ero ancora a rischio?

Evidentemente sì.

Sabato era il quindicesimo giorno dal 18 settembre, l’ultimo in cui il virus avrebbe potuto manifestarsi, ma poteva benissimo essere che fossi un portatore asintomatico da diversi giorni.

Avevo contagiato tutti i miei affetti più cari?

I miei genitori anziani?

E i miei figli che a loro volta avevano infettato la classe intera?

Immuni mi ha rassicurato: il contatto non è contagio, se eravate di spalle o se avevate la mascherina non è avvenuto nulla.

La mascherina ormai la porto sempre, ma chi tra i miei contatti era risultato positivo?

Immuni non lo dice giustamente, e scorrendo la mia agenda di quel giorno mi era impossibile scoprirlo: c’erano tanti meeting su Teams o su Zoom, robe in cui l’unico contagio possibile è lo sbadiglio.

Pochissimi incontri personali.

Ma in fondo che importa scoprire chi è stato il contatto segnalato da Immuni: non c’era tempo da perdere.

Immuni mi ha prospettato due strade: avvisare subito il mio medico e nel frattempo isolarmi, oppure ignorare questo messaggio “ma ti sconsigliamo fortemente di farlo“.

Ho cercato il medico e un paio di ore dopo facevo sierologico e tampone.

Dovrebbe essere sempre così, per tutti.

Zero attese: se sei positivo, ti isoli e non combini guai; altrimenti sei libero.

Subito, per tutti. 

Un’ora dopo gli esami è arrivato il responso: negativo, adesso e prima.

Mai contratto il virus.

Evviva.

In quell’ora ho pensato a cosa sarebbe accaduto se fossi stato positivo, alla quarantena per affetti e colleghi, al timore per la salute dei miei genitori; ma ho pensato a quanto sarebbe stato peggio diventare positivo senza saperlo, avrei potuto contagiare tutti, diventare un focolaio.

Invece per evitarlo mi è bastato installare una app – che non mi segue nei miei spostamenti, che non rivela a nessuno la mia identità né quella dei miei contatti – e avere un contatto con un’altra persona che ha avuto la sfortuna del contagio ma la lungimiranza di scaricare Immuni.

E’ bastato pochissimo ad evitare un casino. 

Ho preso il link che serve a scaricare la app e l’ho postato sulle chat scolastiche dei miei figli, e in quelle dei miei amici e dei vicini di casa.

Arrivati a questo punto, scaricare Immuni non basta.

Chi l’ha fatto dovrebbe fare quello che chi ha più potere e follower di noi non ha ancora fatto: diventare ambasciatore di Immuni.

Convincere altri a far parte di questa comunità di cittadini responsabili che prendono questa pandemia sul serio ma senza panico perché hanno capito che con mascherine e tracciamento dei contatti ce la faremo senza un altro lockdown. 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 5 ottobre 2020 sul sito online del quotidiano “la Repubblica”)

 

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