Terra mia, la stretta agli ecoreati sul tavolo del Consiglio dei ministri tra nuove responsabilità e modifiche del codice Antimafia

 

La stretta agli ecoreati approda sul tavolo del Consiglio dei ministri.

Il ddl Terra mia, il testo-bandiera del ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, sarà tra quelli all’esame giovedì 22 ottobre.

L’esponente del governo ne parla da due anni e ne ha più volte annunciato il deposito sul tavolo del governo.

La discussione sarebbe dovuta partire circa due settimane fa, ma l’ultimo rinvio è stato causato dai veti incrociati dei renziani di Italia Viva e dal Pd poco convinto dal testo.

Sono un paio, e non sostanziali, i cambiamenti apportati rispetto all’ultima bozza del disegno di legge firmata il 22 settembre scorso e che ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare.

Il testo modifica diverse norme, principalmente alcuni articoli contenuti nel decreto legislativo 152/06, ossia il Testo Unico sull’Ambiente.

Ma apporta cambiamenti anche al Codice Penale, a quello Antimafia del 2011 e alla normativa sulla responsabilità amministrativa degli enti, con alcuni interventi anche sul Codice di procedura penale e sul Testo unico sull’immigrazione.

I VETI INCROCIATI DI RENZIANI E PD Come racconta Il Domani, sabato scorso c’è stato l’ultimo strappo.

Il disegno di legge non è stato presentato in Consiglio dei ministri, perché mancava l’intesa tra democratici e Movimento 5 Stelle.

Mentre la deputata di Italia Viva, Silvia Fregolent ha detto: “Questo testo non lo voteremo mai in aula, abbiamo chiesto inutilmente un tavolo di lavoro”.

Eppure Italia Viva, ancora prima dell’ultimo rinvio, aveva già portato a casa la cancellazione di un articolo che prevedeva pene più severe per le aziende zootecniche che scaricano i reflui nei corsi d’acqua.

Per i renziani il colpo di grazia alle aziende in un periodo già complicato, ma per Costa un tassello della battaglia in cui si è speso personalmente e in cui si gioca molto.

Alla fine, nonostante rinvii e strappi, il testo arriva in Consiglio dei ministri, al termine di un percorso in cui, tutto sommato, ha perso pochi pezzi per strada.

LA DISCARICA ABUSIVA Il testo si compone di 32 articoli, distribuiti in sei capi.

L’articolo 1 del testo modifica le sanzioni penali relative a interventi e attività soggetti ad Autorizzazione integrata ambientale (Aia).

Cambiano le sanzioni in caso di esercizio abusivo delle discariche e si responsabilizzano maggiormente i proprietari dei fondi sui quali vengono realizzate, per i quali sarà più difficile rientrare in possesso delle aree sequestrate o confiscate.

Nel dettaglio, per l’esercizio non autorizzato di una discarica si applicano le pene della reclusione da uno a tre anni (oggi è da sei mesi a due anni) e multe da 5mila euro a 25mila euro (oggi è da 2.600 a 26mila euro).

Se la discarica abusiva è, anche in parte, destinata allo smaltimento di rifiuti pericolosi, la reclusione da tre a sei anni (oggi è da uno a tre anni) e le multa da 25mila a 100mila euro (oggi da 5.200 a 52mila).

LA CONFISCA Rispetto al regime della confisca, la disciplina attualmente vigente stabilisce che, in caso di condanna o patteggiamento, l’area utilizzata come discarica debba essere confiscata “se di proprietà dell’autore o del compartecipe del reato”.

Il nuovo testo interviene in maniera più incisiva, non solo per evitare che i gestori della discarica possano sottrarsi alle conseguenze patrimoniali dei loro illeciti, ma anche con l’obiettivo di responsabilizzare i proprietari dei fondi su cui vengono realizzate le discariche.

Il ddl Terra mia prevede, infatti, che per rientrare in possesso delle aree sequestrate o confiscate, i titolari debbano dimostrare non solo di essere in buona fede e di non aver tratto profitto dall’attività illecita di altri, ma anche di aver utilizzato “ogni opportuna diligenza” per evitare l’impiego dei propri beni in queste attività.

L’area utilizzata come discarica resta da confiscare, in linea di principio, “salvo che appartenga a persona estranea al reato”, lasciando fermi, in ogni caso, gli obblighi di bonifica e di ripristino dello stato dei luoghi.

LA GESTIONE E L’ABBANDONO DI RIFIUTI Rischia la pena da uno a tre anni e una multa da 5mila a 25mila euro (con la stessa aggravante in caso di rifiuti pericolosi) anche chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio e intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione.

L’articolo 2 trasforma l’abbandono di rifiuti pericolosi da parte di privati (attualmente un illecito amministrativo) in illecito penale contravvenzionale e, quindi, soggetto alle pene alternative dell’arresto da tre mesi a un anno o dell’ammenda da 2.600 a 26mila euro.

Oggi, invece, chi abbandona o deposita rifiuti (“ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee”) è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 300 a 3mila euro.

Se l’abbandono riguarda rifiuti pericolosi, la sanzione amministrativa è aumentata fino al doppio.

LE MODIFICHE AL CODICE ANTIMAFIA Un’altra importante novità è rappresentata dalle modifiche al decreto legislativo 159 del 2011, il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione.

L’articolo 13 del nuovo testo, infatti, include anche l’ambiente (accanto a integrità fisica o morale dei minorenni, sanità, sicurezza o tranquillità pubblica) tra i beni giuridici rilevanti da tutelare, estendendo anche a chi commette reati che “offendono o mettono in pericolo” l’ambiente, le misure di prevenzione di competenza del questore, come il foglio di via.

Con il cosiddetto daspo ambientale sarà possibile disporne l’allontanamento dai luoghi dove si ritiene commettano illeciti contro l’ambiente.

Si potranno applicare misure di prevenzione, come la sorveglianza speciale di polizia di Stato, a soggetti indiziati dei delitti di inquinamento ambientale, morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività e attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti.

Per quest’ultimo delitto, contemplato tra i reati delle associazioni, erano già previste le misure di prevenzione, che ora saranno però applicabili anche se viene commesso “al di fuori di contesti delinquenziali strutturati in forma associativa”.

LA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI L’articolo 17 amplia poi la lista dei reati ambientali per i quali è prevista la responsabilità amministrativa degli enti: vi rientreranno l’incendio boschivo, il reato di morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale, quello di impedimento di controllo, di omessa bonifica e di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti.

(Articolo di Luisiana Gaita, pubblicato con questo titolo il 22 ottobre 2020 sul sito online “Ambiente & Veleni” del quotidiano “Il Fatto Quotidiano”)

 

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