La scorsa primavera la pandemia di Covid-19 ha fermato il mondo e sta risuccedendo, ma il traffico illecito di beni culturali non si è mai fermato, anzi, i trafficanti di beni culturali hanno approfittato della diminuzione della vigilanza nei siti archeologici e nei musei per scavare reperti e rubare nell’assoluta impunità. L’Unesco, che ha appena lanciato The Real Price of Art campaign, evidenzia che le cifre sul traffico e i furti dimostrano che «l’attrazione per mosaici, vasi funerari, sculture, statuette o antichi manoscritti non è mai stata così forte. Questa pressione della domanda sta contribuendo ad alimentare il mercato illegale di opere d’arte e oggetti d’antiquariato, che ora opera in gran parte online, attraverso piattaforme che spesso trascurano la provenienza originale degli oggetti». Secondo l’agenzia educativa, scientifica e culturale dell’Onu, il commercio illecito di beni culturali rappresenta quasi 10 miliardi di dollari all’anno e denuncia che «questo traffico, alimentato dal saccheggio a volte altamente organizzato di aree archeologiche, costituisce una delle principali fonti di finanziamento per le organizzazioni criminali e terroristiche e depreda i popoli della loro storia e identità». Ernesto Ottone Ramírez, direttore generale aggiunto dell’Unesco per la cultura, fa l’esempio dello Stato Islamico/Daesh che, a cominciare dal 2004, ha «organizzato un saccheggio massiccio e metodico di siti archeologici e musei nelle regioni della Siria e dell’Iraq che erano passate sotto il suo controllo». Attualmente i flussi illeciti di beni culturali sono ora al terzo posto, in termini di volume, dopo quelli di droga e armi. E non è più solo una questione culturale: «Questo commercio ombra, che prospera nelle zone di conflitto, è diventato anche una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali», fa notare Ramírez. Negli ultimi 50 anni l’Unesco ha sviluppato un quadro giuridico di riferimento per combattere questo flagello internazionale: nell’ambito delle iniziative per […]