Archivi Giornalieri: 26 Febbraio 2020
Nel corso dell’ultimo anno l’erogazione del reddito di cittadinanza da parte dell’Inps ha assorbito risorse pari a 3,8 miliardi di euro – meno di quanto stanziato in legge di Bilancio, 5,6 miliardi di euro – comprensive anche della pensione di cittadinanza: in totale sono circa 2,5 milioni le persone che hanno beneficiato delle due misure, con un importo medio mensile (per nucleo familiare) che sfiora i 500€. Si tratta di cifre ben lontane rispetto a quelle annunciate dal M5S durante la fase di campagna elettorale, ma che hanno permesso di ampliare non poco la platea dei beneficiari e l’importo degli assegni rispetto all’era del reddito di inclusione (Rei). La sfida rimane però quella di fare di più, e soprattutto meglio, in un Paese come il nostro dove il 27,3% della popolazione è a rischio di povertà o esclusione sociale: sotto questo profilo introdurre una carbon tax appositamente disegnata offrirebbe doppi benefici, come sottolineato oggi dal Kyoto club nel corso di un incontro al Quirinale con il presidente Mattarella. «Il Green deal europeo – spiega il direttore scientifico dell’associazione che ha appena compiuto 25 anni, Gianni Silvestrini – rappresenta una straordinaria opportunità anche per l’Italia. Bisogna però che la politica dia la giusta priorità alle risposte all’emergenza ambientale, cosa che purtroppo raramente avviene, ma che il Presidente invece non ha mancato di sottolineare in più occasioni. Andrebbe, ad esempio, valutata con attenzione la proposta di una “carbon dividend tax”, applicata con successo all’estero, che consente di ridistribuire le entrate tra tutti i cittadini in modo uguale, in modo che le fasce più deboli ne traggano un vantaggio economico. Insomma, un reddito di cittadinanza ambientale». Una proposta che il Kyoto club ha elaborato già giorni fa, spiegando che «potrebbe essere discussa una proposta di tassazione del carbonio nei settori non Ets secondo la formula dei “carbon dividends” che prevede una redistribuzione […]
L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (24 febbraio 2020) una motivata segnalazione al Governo nazionale perché impugni davanti alla Corte costituzionale la recentissima legge regionale Sardegna 12 febbraio 2020 in corso di pubblicazione sul B.U.R.A.S. Tale legge prevede, a mera comunicazione dei concessionari demaniali, il mantenimento tendenzialmente permanente di chioschi e installazioni varie sul demanio marittimo, nonostante vi siano solo autorizzazioni stagionali. Infatti, l’art. 2 della legge prevede “il posizionamento delle strutture di facile rimozione a scopo turistico-ricreativo è ammesso per l’intero anno solare, al fine di favorire la destagionalizzazione della stagione turistica a condizione che l’operatore, entro il 31 ottobre di ciascun anno, programmi e comunichi, ai sensi dell’ordinanza balneare periodica, un minimo di 10 mesi di operatività sui dodici mesi successivi” senza la minima precauzione per la salvaguardia ambientale e per la fruizione pubblica dei litorali. Inoltre, “l’efficacia delle autorizzazioni edilizie e paesaggistiche relative a strutture precarie a scopo turistico ricreativo, ubicate nella fascia dei 300 (trecento) metri dalla battigia marina, ha durata pari a quella della concessione demaniale”. Bisogna ricordare che la durata delle concessioni demaniali marittime sui litorali sardi è stata recentemente prorogata fino al 2033 (determinazione D.G. EE.LL., Finanze R.A.S. n. 54/1942 del 20 gennaio 2020 + allegato), in palese violazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (c.d. direttiva Bolkestein) e in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale (vds. Cass. pen. Sez. III, 12 giugno 2019, n. 25993). In parole povere, per beceri calcoli elettoralistici, la maggioranza consiliare di centro-destra ha voluto privatizzare il demanio marittimo e le spiagge, occupati permanentemente da chioschi e stabilimenti che dovrebbero, invece, operare solo durante la stagione balneare. Chioschi e stabilimenti che potranno rimanere tutto l’anno a danneggiare con opere permanenti spiagge e dune e a impedire la pubblica fruizione del demanio marittimo. La disposizione viola palesemente le competenze statali in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e […]
Il nuovo Documento operativo di difesa del suolo (Dods) per la Toscana prevede oltre 16 milioni di euro per finanziare 69 interventi di mitigazione del rischio idraulico e idrogeologico. Il Dods infatti raccoglie gli interventi attuati dalla Regione e dagli Enti locali in un’unica cornice di riferimento che definisce interventi e risorse in un programma omogeneo e prevede 1 milione e 126mila euro per 11 interventi (2 cantieri e 9 progetti) di competenza della Regione Toscana e 14 milioni e 850mila di euro per 58 interventi (37 cantieri e 21 progetti) realizzati da Comuni e Province. In Regione spiegano che «in particolare, 14 milioni e 700mila euro saranno destinati alla realizzazione di opere idrauliche e idrogeologiche e 1 milione e 250mila euro a studi e progettazioni. Cinque le categorie di lavori previsti: interventi e progettazioni di competenza della Regione; interventi e progettazioni realizzati da Comuni e Province e attività finalizzate all’implementazione e al miglioramento delle informazioni e della conoscenza in materia di difesa del suolo. Trentanove i cantieri previsti e 30 gli studi e progettazioni per un totale di 69 interventi finanziati. Dei cantieri, 2 nella provincia di Lucca saranno realizzate dalla Regione e 37 da Comuni e Province. Dei progetti, 9 saranno realizzati dalla Regione e 21 da Comuni e Province». L’assessore regionale all’ambiente Federica Fratoni ha sottolineato: «Stiamo mantenendo e l’impegno assunto per una politica organica ed efficace per la difesa del suolo in Toscana grazie al metodo ormai collaudato che si avvale di precisi interventi cadenzati e costanti. Nonostante i continui tagli alle risorse, la Regione non ha smesso di finanziare interventi per mitigare i rischi o gli effetti prodotti da frane e alluvioni ed abbiamo, anzi, anche per i prossimi tre anni prevediamo in tutta la Toscana opere e progetti per oltre 16 milioni di […]
SYDNEY – I devastanti incendi che hanno colpito l’Australia in questa stagione estiva sono “globalmente senza precedenti” e hanno bruciato oltre un quinto delle foreste, nel pieno di una siccità mai registrata prima, legata a sua volta al cambiamento climatico. E’ la conclusione di una ricerca della Western Sydney University pubblicata in un’edizione speciale della rivista Nature Climate Change. La perdita annuale di foreste a causa degli incendi estivi è rimasta finora tipicamente sotto il 2%. Gli studiosi dell’Institute for the Environment dell’ateneo hanno esaminato i dati del disastro, per determinare in che misura può essere attribuito alle crescenti temperature. Gli incendi negli stati sudorientali del paese, New South Wales e Victoria, hanno bruciato circa 5,8 milioni di ettari di foreste di latifoglie. Sono stati di maggiori dimensioni di qualunque incendio registrato in Australia dall’inizio dell’insediamento europeo 230 anni fa, e molto più estesi di simili incendi di foreste nel mondo, in almeno gli ultimi due decenni. “Già a metà della primavera scorsa ci siamo resi conto che una grandissima parte delle foreste dell’Australia orientale poteva prendere fuoco in questa singola stagione estiva“, scrive Mathias Boer, principale autore dello studio, specialista di ecologia del paesaggio e di gestione degli ambienti soggetti a incendi. “Lo shock è venuto quando ci siamo resi conto che questa stagione era fuori scala globalmente, in termini della proporzione di sezione continentale di bioma di foresta andata in fiamme“. (ANSA del 25 febbraio 2020, ore 10:26)