“Crisi climatica e Covid19, fidiamoci della scienza”

 

Bastano la vista e l’olfatto: il colore del cielo e il profumo dell’aria di primavera anche nelle città più affollate raccontano come l’emergenza coronavirus e il conseguente lockdown abbiano drasticamente ridotto l’inquinamento.

Ma, per chi non si fida dei soli sensi, sono presto arrivate le prove scientifiche.

Prima le immagini da satellite, che hanno mostrato come le nubi di smog si siano dissolte con la quarantena, e ora anche i numeri: negli ultimi mesi il consumo di combustibili fossili è crollato, tanto che a fine 2020 si potrebbe registrare un meno 8% rispetto all’anno scorso, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea).

Con la metà della popolazione mondiale chiusa in casa, o comunque sottoposta a limitazioni negli spostamenti e nelle attività lavorative, c’era da aspettarselo.

Ma persino gli addetti ai lavori non prevedevano un calo del genere in un lasso di tempo così breve.

Stando alle statistiche qualcosa di analogo successe solo durante la Grande depressione e dopo la Seconda guerra mondiale, con l’Europa ridotta a un cumulo di macerie.

Fortunatamente la situazione oggi è diversa, nonostante le decine di migliaia di vittime del Covid-19.

Ma non c’è comunque da festeggiare per l’abbattimento delle emissioni collegato al coronavirus.

A parte il carissimo prezzo che si sta pagando, si tratta di un calo temporaneo.

Anche gli ambientalisti più convinti sanno bene che cessata la pandemia il motore produttivo dell’Occidente si rimetterà in moto, forse a una intensità ancora superiore che in passato per recuperare il terreno perduto, con il rischio che la lotta al riscaldamento globale passi in secondo piano rispetto alla ripresa.

Un timore sottolineato dal direttore esecutivo della Iea, Fatih Birol, nel presentare il rapporto che ha ufficializzato il crollo nell’uso dei combustibili fossili: “Questo calo storico delle emissioni si sta verificando per le ragioni sbagliate.

Le persone stanno morendo e i paesi stanno soffrendo un enorme trauma economico in questo momento.

L’unico modo per ridurre in modo sostenibile le emissioni non è attraverso blocchi dolorosi, ma mettendo in atto le giuste politiche energetiche e climatiche”.

Tuttavia per adesso è l’emergenza pandemia a dettare legge, con chiusure e divieti in mezzo mondo.

Secondo la Iea le misure anti-coronavirus hanno prodotto una riduzione nel consumo dei combustibili fossili variabile tra il 17% e il 25%.

E anche se ci fosse una attenuazione nei divieti da qui a fine anno, l’impatto sarebbe comunque senza precedenti: un calo dell’8% rispetto al 2019.

Dell’8% è sceso intanto il consumo di carbone, conseguenza soprattutto del lockdown cinese, visto che Pechino è il primo utilizzatore del più inquinante tra i combustibili fossili.

Resta da capire se questo obiettivo, raggiunto con la pistola alla tempia del coronavirus, possa essere conservato e implementato anche una volta cessata l’emergenza, attraverso l’adozione di misure strutturali condivise, nella consapevolezza che il riscaldamento globale sia la vera emergenza epocale che ci troveremo ad affrontare nei prossimi anni.

Uno dei grandi punti interrogativi ora è se i paesi decideranno di mettere l’energia pulita al centro dei loro pacchetti di stimolo economico“, ammette Birol.

Ci stanno provando, almeno formalmente.

Qualche giorno fa, i leader di alcuni grandi paesi, tra cui Germania, Gran Bretagna e Giappone, hanno sollecitato le nazioni a investire in tecnologia per ridurre le emissioni, come l’energia solare o i veicoli elettrici, mentre pianificano i loro sforzi di ripresa economica.

Ci sarà un difficile dibattito sulla destinazione dei fondi“, ha dichiarato la cancelliera tedesca Angela Merkel.

Ma è importante che i programmi di ripresa non perdano di vista il clima”.
E’ il timore non solo degli attivisti alla Greta Thunberg ma anche della comunità scientifica.

Questo doveva essere l’anno decisivo, con la conferenza Onu sul clima che avrebbe dovuto trasformare finalmente in realtà gli impegni presi dalle nazioni con gli Accordi di Parigi.

Ma il Covid-19 ha fatto anche saltare la Cop26 di Glasgow, che forse si terrà nella primavera del 2021.

E dunque i climatologi temono che il global warming sparisca dall’agenda dei governi.

E’ un rischio reale”, conferma Antonello Pasini, fisico dell’atmosfera presso il Consiglio nazionale delle ricerche.

Con il petrolio a prezzi stracciati, la tentazione di puntare sui combustibili fossili per la ripresa economica potrebbe sedurre molti Paesi”.

Cosa può fare la comunità scientifica?

Sottolineare le analogie che esistono tra l’emergenza coronavirus e la crisi climatica“, risponde Pasini.

Sono entrambi fenomeni innescati da una errata interazione degli esseri umani con l’ambiente.

Ed entrambi hanno un’inerzia: vediamo i frutti del lockdown dopo settimane, così come ci vogliono decenni per constatare le conseguenze nell’atmosfera delle nostre emissioni di gas serra.

Nel caso della pandemia, i politici hanno imparato a dare ascolto agli studiosi, sarebbe bene che lo facessero anche sul riscaldamento globale“.

(Articolo di Luca Fraioli, pubblicato con questo titolo il 1 maggio 2020 sul sito online del quotidiano “la Repubblica”)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Vas