Dalle piazze alle proposte. Il piano di Friday for Future per salvare l’Italia

 

Ma certo che sono richieste politiche, da quando una ragazzina svedese è scesa in piazza chiedendo l’abbandono dei combustibili fossili si è sempre trattato di richieste politiche“. 

Giovanni Mori, 27 anni, laureato in ingegneria energetica e parte del movimento Friday for Future a Brescia, racconta così il ritorno dello Sciopero per il Clima in tutta Italia.

Dalla protesta inaugurata da Greta Thunberg, ora si passa alle proposte.

La novità è questa.

E Mori difende il movimento da chi lo accusa di aver fatto il passo in un campo diverso da quello iniziale.

Il problema casomai è che la politica non le coglie.

Ma la natura dello Sciopero è da sempre politico anche se apartitico“.

Le rivendicazioni Friday for Future Italia in realtà le ha già fatte a luglio, sono sette, e hanno come nome “Ritorno al Futuro”.

Si punta in alto con richieste dirette in particolare allo Stato al quale si chiede di intervenire con imponente piano di finanziamenti pubblici per avviare la “transizione economica” necessaria per un’economia diversa e sostenibile.

Il movimento Friday for Future vuole in primo luogo una conversione delle industrie inquinanti, l’efficientamento energetico degli edifici, delle infrastrutture per le energie rinnovabili, l’avvio di una vera economia circolare e di una mobilità sostenibile, accessibile e capillare.

Si chiede anche che nel criterio di spesa prevalga l’interesse collettivo sul profitto personale e che il controllo del settore energetico torni in mano pubblica.

Si domanda la tutela del lavoro e una distribuzione dei costi da affrontare che gravi maggiormente su chi ha maggiori mezzi e responsabilità nello stato attuale delle cose, oltre al ripensamento del settore agroalimentare, la tutela della salute che passa evidentemente per la tutela degli ambienti dove le persone vivono evitando ogni ulteriore investimento nei combustibili fossili, un sistema scolastico pensato per assicurare il diritto allo studio e il combattere le disuguaglianze sociali, un piano di investimenti pubblici a livello europeo per la ripartenza e la riconversione di tutti i Paesi dell’Ue. 

Il Green Deal europeo, stando a Friday for Future Italia, andrebbe nella giusta direzione ma è ancora ampiamente insufficiente.

Siamo davanti ad un’emergenza che in pochi anni potrebbe portarci alla catastrofe“. 

Emanuele Genovese, 23 anni, studente di Statistica a La Sapienza di Roma, ha pochi dubbi sul fatto che bisognerebbe fare molto di più per l’ambiente.

Se arriveremo ad emissioni zero nel 2050, come vorrebbe fare l’Unione Europea, sarà troppo tardi“.

L’obiettivo di questo sciopero è puntare al Recovery Fund. Friday for Future chiede una regia generale, un piano diretto alla sostenibilità in accordo con l’Europa.

Quello che spesso si dimentica è che l’Europa in quanto ad emissioni è a circa il 12 per cento, ha quindi un peso relativo, ma è il mercato più grande al mondo“, prosegue Mori.

Se venisse introdotta una carbon tax in entrata, tutti sarebbero costretti ad abbracciare la transizione e degli standard ambientali ben più  elevati“.

Insomma, l’idea è di fare dell’Europa un apripista per una nuova economia più sostenibile.

I costi di una tale rivoluzione sono però enormi e non basterà certo il Recovery Fund, anche se passasse la proposta delle piazze di Greta di impiegare il 37 per cento di quei fondi per le politiche ambientali.

Ma i ragazzi di Greta fanno notare i passi aventi fatti negli ultimi tempi che, sostengono, non sono merito loro ma di una situazione d’emergenza che è ormai chiara perfino a colossi come la The British Petroleum Company che ha deciso di cambiar pelle.

Di quei sette punti in questo momento Friday for Future vorrebbe sottolinearne almeno tre: allocare il 37 per cento del Recovery Fund per progetti di transizione ecologica ed energetica, che sia una transizione equa, ovvero che non generi squilibri sociali, e che si dica la verità sui rischi che corriamo e che correremo a causa del cambiamento climatico.

Secondo loro un calo del prodotto interno lordo dell’otto percento l’anno diverrà la norma se non corriamo ai ripari.

(Articolo di Jaime D’Alessandro, pubblicato con questo titolo il 9 ottobre 2020 sul sito online del quotidiano “la Repubblica”)

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