Greta non va a scuola e ci dà un’altra lezione

 

Greta Thunberg ha reso noto che salterà il prossimo anno scolastico per dedicarsi al compito di continuare a tenere all’erta la Terra, cioè noi, sui pericoli incombenti.

Questa decisione è resa obbligata da due impegni che Greta si è presa.

Partecipare all’Assemblea generale dell’Onu del prossimo 23 settembre a New York, che prevede una discussione sul clima, e andare alla Conferenza delle Parti (COP 25) che si terrà in Cile a dicembre.

Greta intende raggiungere entrambe queste destinazioni senza usare l’aereo.

La cosa è complicata, perché alcune sue rotte non sono coperte da altri mezzi di trasporto; evitare l’aereo in quei viaggi è però incompatibile con la frequenza scolastica, anche quella interrotta dai periodici scioperi del venerdì.

A molti sembrava sbagliato che una studentessa interrompesse gli studi per addossarsi un compito così pesante.

Ma a loro Greta ha già risposto: a che cosa serve andare a scuola se stiamo negando il futuro a tutta la mia generazione?

Nessuno è stato in grado di replicare.

Ad altri può sembrare assurdo intestardirsi a non salire su un aereo anche quando i viaggi sono lunghi e complicati.

Se però le conferenze internazionali fossero sempre così difficili da raggiungere per tutti sarebbero forse di meno ma forse più costruttive.

Quello che Greta cerca di spiegarci con i fatti e non a parole è che dobbiamo tutti abituarci, e presto, non solo a cambiare completamente le nostre abitudini (e certo non rientra tra le “abitudini” della maggior parte di noi andare a New York o in Cile), ma anche a ridurre la gamma delle possibilità su cui si è fatto conto finora.

Per ridurci tutti in povertà?

Certamente non per arricchirci.

Ma perché al posto del disastro che ci aspetta se non cambia tutto alla svelta, si possa ancora prospettare realisticamente un mondo migliore per tutti: quello a cui Alex Langer aveva alluso con il suo magistero: un mondo che vive più lentamente, più dolcemente, più in profondità, recuperando una dimensione interiore che la vita odierna ci fa perdere.

Con i suoi mezzi Greta spiega che non c’è tempo da perdere.

I politici le hanno reso omaggio, Comuni e Parlamenti hanno dichiarato l’emergenza climatica per poi continuare il loro trantran, comportandosi come sempre, anche se siamo sull’orlo di un baratro.

Sono (e siamo) ignoranti.

In effetti politici, media e scuola non hanno fatto molto, soprattutto in Italia, ma dopo Greta e il movimento Fridays for Future nessuno può più dire di non sapere: neanche quei giornalisti che continuano a trattarla, e a trattarci, come deficienti.

Sono (e siamo) cinici.

Sta per arrivare qualcosa di terribile, ma pensiamo che non ci riguardi, che riguardi solo altri.

Per questo i politici continuano a fare gli stessi discorsi, i giornalisti a scrivere gli stessi editoriali, gli economisti a ripetere la stessa tiritera (si parla sempre solo di “crescita”) e i prof a fare le stesse lezioni (ahi, il programma!).

Sono (e siamo) sclerotici.

I governanti non sanno come affrontare il problema perché capiscono che dovrebbero cambiare tutto, a partire dai loro progetti politici e di vita.

Per questo sembra prevalere una “volontà di non sapere”: meglio nascondere la testa sotto la sabbia.

Ma questa condizione non riguarda solo loro.

Riguarda anche tutti noi.

È ovvio che da soli, ciascuno per conto suo, non si realizzerà niente di significativo.

Occorre il confronto, l’azione collettiva, la politica, la traduzione della conversione ecologica in progetti concreti, in rivendicazioni e soprattutto in partecipazione.

A partire dalle scuole – perché il movimento è nato e per ora vive soprattutto nelle scuole e nelle Università – che da settembre dovrebbero trasformarsi in centri di informazione, discussione, educazione, ma anche di progettazione e soprattutto di coinvolgimento, sui temi fondamentali della conversione ecologica, aprendo al quartiere e al territorio.

Perché – è l’obiettivo che ci indica Greta – il prossimo sciopero mondiale, il 27 settembre, deve coinvolgere anche gli “adulti”, cioè i lavoratori e i territori.

Che cosa ne pensano sindacati e associazioni?

 

(Articolo di Guido Viale, pubblicato con questo titolo il 5 giugno 2019 sul sito online del quotidiano “il manifesto”)

 

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